Ottavario dei defunti 1-8 novembre
Dall’1 all’8 novembre è possibile applicare l’indulgenza plenaria per un caro defunto, visitando un cimitero e pregando, anche soltanto mentalmente ma con fede per lui e per i defunti tutti. E' possibile applicarla ogni giorno ad un caro defunto.
Considerato che l’indulgenza è come uno "smacchiatore" per le macchie dell'anima, per acquistare l'indulgenza plenaria occorre:
- L'intenzione di non ricadere in una situazione di peccato, anche se veniale.
- Riconciliarsi con Dio attraverso il Sacramento della Confessione.
- Ricevere la Comunione Eucaristica.
- Recitare una preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.
E' possibile recitare qualsiasi preghiera, a seconda della propria devozione, oppure un Padre nostro e un’Ave Maria.
Ci si può confessare entro 8 giorni prima e 8 giorni dopo il giorno in cui ricevo l’indulgenza.
Con una sola Confessione sacramentale è possibile acquistare più indulgenze plenarie.
Quando il sacerdote assolve il peccato, è Cristo, in realtà, che assolve.
Anche se la colpa viene rimessa, cancellata, dimenticata da Dio, la conseguenza del peccato rimane, come una ferita: questa conseguenza si chiama “pena temporale”.
Occorre curare questa ferita, con il balsamo dell’indulgenza...
Questa “cura” è possibile farla durante la propria vita e in Purgatorio, dopo la morte.
La Chiesa raccomanda l’uso delle indulgenze. Giovanni Paolo II ha definito le indulgenze “una comprensiva tessera di autentica cattolicità”.
La tradizione le ha trasmesse come bene prezioso.
Consigliarne l’uso non significa sminuire il valore della Santa Messa e dei Sacramenti, in particolare della Riconciliazione (o Confessione), né dei Sacramentali, né delle opere buone, di penitenza e di carità.
Non posso infatti parlare di indulgenza senza una sincera conversione.
Questo evidenzia che l’indulgenza è strettamente collegata ai Sacramenti che si ricevono e spiega anche perché non posso applicarla ad altri che sono ancora in vita, ma solo a me stesso o ai defunti come suffragio.
Esistono due tipi di indulgenza: plenaria e parziale.
La prima cancella la ferita lasciata dal peccato, cioè libera totalmente dalla pena temporale, la seconda lo fa solo in parte. L’indulgenza parziale non stabilisce, come si usava nel passato, la quantità di giorni, mesi o anni che mi vengono “condonati”.
Si può ricevere l’indulgenza parziale più volte durante il giorno, mentre la plenaria una volta sola.
venerdì 1 novembre 2013
lunedì 28 ottobre 2013
Lo Stabat Mater
Stabat Mater
Lo Stabat Mater (dal latino per Stava la madre) è una preghiera - più
precisamente una sequenza - cattolica del XIII secolo attribuito a Jacopone da
Todi (sec. XIII).
Descrizione
La prima
parte della preghiera, che inizia con le parole Stabat Mater dolorosa ("La Madre addolorata stava") è
una meditazione sulle sofferenze di Maria, madre di Gesù, durante la crocifissione
e la Passione di Cristo. La seconda parte della preghiera, che inizia con le
parole Eia, mater, fons amóris
("Oh, Madre, fonte d'amore") è una invocazione in cui l'orante chiede
a Maria di farlo partecipe del dolore provato da Maria stessa e da Gesù durante
la crocifissione e la Passione.
È importante
notare che, anche se il testo è in latino, la struttura ritmica è quella del
latino medievale e che poi sarà anche dell'italiano: non si hanno sillabe
lunghe e brevi, ma toniche e atone, in una serie di ottonari e senari
sdruccioli, che rimano secondo lo schema AAbCCb (oltre ad alcune rime interne).
Utilizzo liturgico
È recitata
in maniera facoltativa durante la messa dell'Addolorata (15 settembre) e le sue
parti formano gli inni latini della stessa festa. Prima della Riforma liturgica
era utilizzata nell'ufficio del venerdì della settimana di passione (Madonna
dei sette dolori - venerdì precedente la Domenica delle Palme). Ma
popolarissima era soprattutto perché accompagnava il rito della Via Crucis e la
processione del Venerdì Santo. Un canto amatissimo dai fedeli, non meno che da
intere generazioni di musicisti colti (si pensi solo a Scarlatti, Vivaldi, Pergolesi,
Rossini, Liszt).
Compositori di "Stabat Mater"
Nella storia
della musica classica si ricordano i seguenti compositori:
- Medioevo e Rinascimento : Josquin des Prés, Giovanni Pierluigi da Palestrina, Roland de Lassus.
- Periodo barocco (XVII-XVIII secolo) : Alessandro Scarlatti, Antonio Caldara, Antonio Vivaldi, Emanuele d'Astorga, Domenico Scarlatti, Giovanni Battista Pergolesi, Tommaso Traetta.
- Periodo classico (seconda metà del XVIII secolo) : Joseph Haydn, Luigi Boccherini, Antonio Salieri, Niccolò Antonio Zingarelli.
- Romanticismo : Gioachino Rossini, Franz Schubert, Franz Liszt, Josef Rheinberger, Antonín Dvořák, Giuseppe Verdi, Andrea De Giorgi.
- XX secolo : Lorenzo Perosi, Karol Szymanowski, Francis Poulenc, Krzysztof Penderecki, Arvo Pärt, François Fayt, Salvador Brotons, Toivo Kuula, Zoltán Kodály.
- XXI secolo : Bruno Coulais, Karl Jenkins, Julien Joubert, Marco Frisina, Marco Rosano, Angelo Comisso, Stefano Lentini che ha composto lo Stabat Mater per il film The Grandmaster del regista cinese Wong Kar-wai.
Il testo
Stabat
Mater dolorósa
iuxta
crucem lacrimósa,
dum
pendébat Fílius.
Cuius ánimam geméntem,
contristátam
et doléntem
pertransívit
gládius.
O quam tristis et afflícta
fuit illa
benedícta
Mater
Unigéniti!
Quae moerébat et dolébat,
et
tremébat, cum vidébat
nati
poenas ínclyti.
Quis est homo, qui non fleret,
Christi
Matrem si vidéret
in tanto
supplício?
Quis non posset contristári,
piam
Matrem contemplári
doléntem
cum Filio?
Pro peccátis suae gentis
vidit Jesum in torméntis
et flagéllis subditum.
Vidit suum dulcem natum
moriéntem desolátum,
dum emísit spíritum.
Eia, mater, fons amóris,
me sentíre vim dolóris
fac, ut tecum lúgeam.
Fac, ut árdeat cor meum
in amándo Christum Deum,
ut sibi compláceam.
Sancta Mater, istud agas,
crucifíxi
fige plagas
cordi meo
válide.
Tui Nati vulneráti,
tam dignáti
pro me pati,
poenas
mecum dívide.
Fac me vere tecum flere,
Crucifíxo
condolére
donec ego
víxero.
Iuxta crucem tecum stare,
te
libenter sociáre
in planctu
desídero.
Virgo vírginum praeclára,
mihi iam
non sis amára,
fac me tecum plángere.
Fac, ut portem Christi mortem,
passiónis fac me sortem
et plagas recólere.
Fac me plagis vulnerári,
cruce hac inebriári
et cruóre Fílii.
Flammis urar ne succénsus,
per te,
Virgo, sim defénsus
in die
iudícii.
Fac me cruce custodíri
morte
Christi praemuníri,
confovéri
grátia.
Quando corpus moriétur,
fac, ut
ánimae donétur
paradísi
glória.
Amen.
|
La Madre
addolorata stava
in lacrime
presso la Croce
su cui
pendeva il Figlio.
E il suo animo gemente,
contristato
e dolente
una spada
trafiggeva.
Oh, quanto triste e afflitta
fu la
benedetta
Madre
dell'Unigenito!
Come si rattristava, si doleva
e tremava
vedendo
le pene
del celebre Figlio!
Chi non piangerebbe
al vedere
la Madre di Cristo
in tanto
supplizio?
Chi non si rattristerebbe
al
contemplare la pia Madre
dolente
accanto al Figlio?
A causa dei peccati del suo popolo
Ella vide
Gesù nei tormenti,
sottoposto
ai flagelli.
Vide il suo dolce Figlio
che
moriva, abbandonato da tutti,
mentre
esalava lo spirito.
Oh, Madre, fonte d'amore,
fammi
provare lo stesso dolore
perché
possa piangere con te.
Fa' che il mio cuore arda
nell'amare
Cristo Dio
per fare
cosa a lui gradita.
Santa Madre, fai questo:
imprimi le
piaghe del tuo Figlio crocifisso
fortemente
nel mio cuore.
Del tuo figlio ferito
che si è
degnato di patire per me,
dividi con
me le pene.
Fammi piangere intensamente con te,
condividendo
il dolore del Crocifisso,
finché io
vivrò.
Accanto alla Croce desidero stare con te,
in tua
compagnia,
nel
compianto.
O Vergine gloriosa fra le vergini
non essere
aspra con me,
fammi
piangere con te.
Fa' che io porti la morte di Cristo,
avere
parte alla sua passione
e
ricordarmi delle sue piaghe.
Fa' che sia ferito delle sue ferite,
che mi
inebri con la Croce
e del
sangue del tuo Figlio.
Che io non sia bruciato dalle fiamme,
che io
sia, o Vergine, da te difeso
nel giorno
del giudizio.
Fa' che io sia protetto dalla Croce,
che io sia
fortificato dalla morte di Cristo,
consolato
dalla grazia.
E quando il mio corpo morirà
fa' che
all'anima sia data
la gloria
del Paradiso.
Amen
|
Fonte:
- Wikipedia, l'Enciclopedia libera.
La Mater Dolorosa
La Madre dei Dolori
Il titolo di Madonna Addolorata o di Maria
Addolorata, meglio Beata Maria Vergine Addolorata, è il titolo che i fedeli
attribuiscono a Maria, in riferimento ai suoi dolori (comunemente identificati
in sette).
I Sette dolori di Maria traggono spunto da sette
episodi evangelici:
1 – La profezia del vecchio Simeone su Gesù
Bambino (cfr. Lc 2, 34-35):
“Simeone
li benedisse e parlò a Maria, sua madre: Egli è qui per la rovina e la
risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati
i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima.”.
Simeone era un anziano d’Israele e profeta. Attendeva
la venuta del Messia. Lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non
avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso
dunque dallo Spirito, si recó al tempio; e mentre San Giuseppe e Maria vi
portavano Gesù per adempiere la Legge, circoncidendo il bambino, Simeone lo
prese tra le braccia e benedisse Dio pronunciando il Nunc dimittis (recitato durante la Compieta): “Ora
lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (cfr. Lc 2, 25-32). Subito dopo Simeone si rivolse a Maria e le profetizzò il dolore che avrebbe provato sul Golgota.
vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (cfr. Lc 2, 25-32). Subito dopo Simeone si rivolse a Maria e le profetizzò il dolore che avrebbe provato sul Golgota.
2 – La fuga in Egitto della Sacra famiglia
(cfr. Mt 2, 13-21):
“Essi erano appena partiti, quando un angelo
del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il
bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò,
perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo».
Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio.
Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.
Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele.”
Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio.
Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.
Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele.”
3 – Lo smarrimento del Bambino Gesù a
Gerusalemme (cfr. Lc 2, 41-51):
“I suoi genitori si recavano tutti gli anni a
Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono
di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi
i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù
rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo
nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra
i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui
a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo
ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che
l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al
vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto
così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose:
«Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre
mio?». Ma essi non compresero le sue parole.
Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.”
Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.”
4 – Maria incontra Gesù sulla via del
Calvario (cfr. Lc 23, 27-31):
“Lo seguiva una gran folla di popolo e di
donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù,
voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di
me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei
quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle
che non hanno allattato.
Allora cominceranno a dire ai monti:
Cadete su di noi!
e ai colli:
Copriteci!
Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?”
Allora cominceranno a dire ai monti:
Cadete su di noi!
e ai colli:
Copriteci!
Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?”
Benché non sia espressamente indicata nel
Vangelo la presenza di Maria, essa è tradizionalmente accettata dalla Chiesa,
tant’è che è diventata anche la IV Stazione della Via Crucis.
5 – Maria assiste alla Crocifissione e Morte
di Gesù (cfr. Gv 19, 25-27):
“Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella
di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre
e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco
il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel
momento il discepolo la prese nella sua casa.”
6 – Maria accoglie tra le sue braccia il Corpo di Gesù
deposto dalla Croce (cfr. Mt 27, 55-61):
“C'erano anche là molte donne che stavano a
osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra
costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei
figli di Zebedèo. Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa,
chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. Egli
andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli
fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un
candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta
scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se
ne andò. Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria”.
La Deposizione nel sepolcro è menzionata
nella XIV Stazione della Via Crucis.
Il Culto
Il Culto verso la Madre dei Dolori vide il
suo sviluppo attorno alla fine dell'XI
secolo. Furono soprattutto S. Anselmo, S. Bernardo e
l’ignoto autore del “Liber de Passione Christi et dolore et planctu matris eius” a
contribuire all’affermazione della devozione all’ Addolorata, e nel XIII
secolo, con i Servi
di Maria, sorsero i primi santuari dedicati all’Addolorata, la cui
iconografia apparve alla fine dello stesso secolo. Addolorata ai piedi del
crocifisso, con il petto trafitto da una spada. Si moltiplicarono allora le
composizioni musicali sul “pianto della Vergine“, tra cui lo “Stabat Mater“,
composizione attribuita a Jacopone da Todi. Ad opera dei servi di Maria si
cominciarono a determinare “i sette dolori“, per cui le spade infilate nel petto della
Vergine divennero sette; si fissò anche la celebrazione liturgica il venerdì
della settimana di Passione, ossia sette giorni prima del Venerdì Santo.
L’Ordo Servorum Beatae Virginis nacque
il 15 agosto 1233, quando sette nobili fiorentini iscritti all’Arte dei
Mercanti e poeti-attori della compagnia dei Laudesi erano soliti esprimere il
loro amore a Maria in laudi davanti un'immagine dipinta su parete di una via,
come i giullari facevano con la donna amata. Improvvisamente videro l'immagine
animarsi, apparire addolorata e vestita a lutto per l'odio fratricida che
divideva Firenze. Questi giovani gettarono le armi, indossarono un abito a
lutto, istituirono la compagnia di Maria Addolorata, detta dei Serviti e si
ritirarono in penitenza e preghiera sul Monte Sanario.
Alle origini essi pregarono la Vergine gloriosa regina
del cielo perché Maria era nella gloria e la vedevano vestita della sua storia
terrena di sofferenza e di privazione - l'abito di vedovanza, segno della sua
passione sul Calvario. Con il passare dei secoli queste motivazioni dettero
origine a varie espressioni di devozione: la Madonna ai piedi della Croce; la
Compagnia dell'abito; la Confraternita dei Sette Dolori approvata da Roma nel
1645; il Terz'ordine; la Corona dell'Addolorata; le varie Congregazioni
femminili all'Addolorata, ecc. Tra il 1668 e il 1690 le iniziative di culto da
parte dei Servi di Maria favorirono la diffusione del culto della Madonna dei
Dolori. Intanto il 9 giugno 1668 la S. Congregazione dei Riti permise
all'Ordine di celebrare la messa votiva dei Sette Dolori della Beata Vergine.
Nel relativo decreto si faceva menzione del fatto che i Servi di Maria
portavano l'abito nero in memoria della vedovanza di Maria e dei dolori che
essa sostenne nella passione del Figlio.
Inizialmente il culto dell'Addolorata era collegato
alla Settimana Santa, in seguito Papa
Innocenzo XII, il 9 agosto 1692 autorizzò la celebrazione dei Sette Dolori
della Beata Vergine la terza Domenica di Settembre. Ma la celebrazione ebbe
ancora delle tappe, man mano che il culto si diffondeva; il 18 agosto 1714 la
Sacra Congregazione approvò una celebrazione dei Sette Dolori di Maria, il
venerdì precedente la Domenica delle Palme e papa Pio VII, il 18 settembre 1814
estese la festa liturgica della terza domenica di settembre a tutta la Chiesa,
con inserimento nel calendario romano. Infine papa Pio X (1904-1914), fissò la
data definitiva del 15 settembre, subito dopo la celebrazione dell’Esaltazione
della Croce (14 settembre), con memoria non più dei “Sette Dolori”, ma più
opportunamente come “Beata Vergine Maria Addolorata”. Ancor
oggi in alcune località è festeggiata alle antiche date.
Pratiche e devozioni
Il culto dell'Addolorata e poi anche sottolineato
dalle diffusione delle preghiere a Maria Addolorata e dalla recita del Rosario
dei sette Dolori e della Coroncina delle Lacrime, specialmente nella Settimana
Santa.
La Via
Matris Dolorosae o semplicemente Via Matris è un pio esercizio nel quale un gruppo di
fedeli, o un singolo,
compie un tratto di strada meditando sette dolori della Vergine.
Il cammino, percorso in preghiera, comprende sette
soste (“stazioni”), che corrispondono ai sette principali dolori che la pietà del popolo cristiano ha
individuato nella vita della Vergine accanto al Salvatore: la profezia di
Simeone, la fuga in Egitto, lo smarrimento di Gesù, l’incontro con Gesù sulla
via del Calvario, la presenza sotto la croce del Figlio, l’accoglienza di Gesù
deposto dalla croce, la sepoltura di Gesù.
Si noterà che, come la Via Crucis,
la Via
Matris è una “preghiera biblica”, in quanto dal Vangelo,
inteso in senso letterale o interpretato alla luce della tradizione della
Chiesa, trae gli episodi di dolore e di salvezza che vi si contempla.
Per quanto, invece, concerne lo “Stabat
Mater” è necessario aggiungere che al testo si sono ispirati musicisti di ogni
epoca; tra i più illustri figurano Palestrina, Pergolesi, Rossini, Verdi,
Dvorak. La Vergine Addolorata è stata raffigurata lungo i secoli in tante
espressioni dell’arte, specie pittura e scultura, frutto dell’opera dei più
grandi artisti che secondo il proprio estro, hanno voluto esprimere in primo
luogo la grande sofferenza di Maria. In virtù del culto così diffuso
all’Addolorata, ogni città e ogni paese ha una chiesa o cappella a lei
dedicata; varie Confraternite assistenziali e penitenziali, come pure numerose
Congregazioni religiose femminili e alcune maschili, sono poste sotto il nome
dell’Addolorata, specie se collegate all’antico Ordine dei Servi di Maria. L’amore
e la venerazione per la Consolatrice degli afflitti e per la sua ‘compassione’,
ha prodotto, specie nell’Ordine dei Servi splendide figure di santi, ne citiamo
alcuni: I Santi Sette Fondatori, S. Giuliana Falconieri, S. Filippo Benizi, S.
Pellegrino Laziosi, S. Antonio Maria Pucci, S. Gabriele dell’Addolorata
(passionista), senza dimenticare, primo fra tutti, S. Giovanni Apostolo ed Evangelista,
sempre accanto a lei per confortarla e condividerne l’indicibile dolore,
accompagnandola fino al termine della sua vita. Il nome Addolorata ebbe larga
diffusione nell’Italia Meridionale, ma per l’evidente significato, ora c’è la
tendenza a sostituirlo con il suo derivato spagnolo Dolores.
Improvvisamente udì una voce:
"Se vuoi ottenere questa grazia, domandala per le Lacrime di mia Madre. Tutto ciò che gli uomini mi domandano per quelle Lacrime sono obbligato a concederlo".
Avendo la suora domandato con quale formula dovesse pregare, le fu indicata l'invocazione:
O Gesù, esaudisci le nostre suppliche e le nostre domande,
per amore delle Lacrime della tua Santa Madre.
L'8 Marzo 1930, mentre stava inginocchiata davanti all'altare si sentì come sollevata e vide una Signora di meravigliosa bellezza: Le sue vesti erano color viola, un manto celeste le pendeva dalle spalle e un velo bianco le copriva il capo.
La Madonna sorridendo amabilmente, consegnò alla suora una corona i cui grani, bianchi come la neve, brillavano come il sole. La Vergine le disse:
"Ecco la corona delle mie Lacrime. Egli vuole che mi si onori in modo speciale con questa preghiera ed Egli accorderà a tutti quelli che reciteranno questa Corona e lo pregheranno in nome delle mie Lacrime, grandi grazie. Questa corona servirà ad ottenere conversione di molti peccatori e in modo particolare quella dei seguaci dello spiritismo. Il demonio sarà vinto con questa Corona e il suo impero infernale sarà distrutto."
La corona fu approvata dal Vescovo di Campinas.
E' composta da 49 grani, divisi in gruppi di 7 e separata da 7 grani grossi, e termina con 3 grani piccoli.
La stessa corona è, inoltre, utilizzata per il Rosario
dell’Addolorata.
A proposito della recita del Rosario dei Sette Dolori
Maria dice nell’apparizione in Kibeho alla veggente Marie Claire: "Ciò che vi chiedo è il pentimento. Se
reciterete questo rosario, meditandolo, allora avrete la forza di pentirvi.
Oggi molti non sanno più chiedere perdono. Essi mettono di nuovo il Figlio di
Dio sulla croce. Per questo ho voluto venire a ricordarvelo, soprattutto qui in
Rwanda, perché qui ci sono ancora persone umili, che non sono attaccate alla
ricchezza e ai soldi".
La Mamma Celeste, consiglia di pregare questo Rosario il martedì e il venerdì, meditando i suoi 7 principali dolori.
Promesse per i devoti dell'Addolorata:
Fu rivelato a S. Elisabetta Regina che S. Giovanni Evangelista desiderava vedere la Madonna dopo la sua assunzione.
Gli apparve la Vergine insieme a Gesù e in tale occasione Maria SS. chiese a Gesù qualche grazia speciale per i devoti dei suoi Dolori.
Gesù promise:
La Mamma Celeste, consiglia di pregare questo Rosario il martedì e il venerdì, meditando i suoi 7 principali dolori.
Promesse per i devoti dell'Addolorata:
Fu rivelato a S. Elisabetta Regina che S. Giovanni Evangelista desiderava vedere la Madonna dopo la sua assunzione.
Gli apparve la Vergine insieme a Gesù e in tale occasione Maria SS. chiese a Gesù qualche grazia speciale per i devoti dei suoi Dolori.
Gesù promise:
1 - Chi invoca la divina
Madre per i suoi dolori, prima della morte farà in tempo a pentirsi dei suoi
peccati;
2 - Custodirò questi devoti
nelle loro tribolazioni, specialmente al tempo della morte;
3 - Imprimerò loro la
memoria della mia Passione, con grande premio in cielo;
4 - Porrò questi devoti
nelle mani di Maria, affinché ella ottenga loro tutte le grazie che desiderano.
Oltre al suo Rosario dei dolori sarebbe bene anche
recitare ogni giorno 7 Ave Maria all'Addolorata per praticare questa devozione.
Raffigurazioni dell’Addolorata
I simboli che meglio identificano tradizionalmente l’Addolorata
sono: una, cinque o sette spade conficcate nel cuore, a volte evidenziato con
sopra una fiamma; il fazzoletto in mano; il vestito viola o nero del lutto e
tendenzialmente mani giunte con dita intrecciate (antica espressione di dolore).
Meno frequentemente ha in mano la corona di spine. Spesso il viso della Madonna
è solcato dalle lacrime. Altro soggetto molto rappresentato è la
Pietà, penultimo atto della Passione, che sta fra la Deposizione e la Sepoltura
di Gesù. Il termine ‘Pietà’ sta ad indicare nell’arte, la raffigurazione dei
due personaggi principali Maria e Gesù, la madre e il figlio; Maria lo sorregge
adagiato sulle sue ginocchia, oppure sul bordo del sepolcro insieme a S.
Giovanni apostolo (Michelangelo e Giovanni Bellini). Capolavoro dell’intensità
del dolore dei presenti, è il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto. Nel
Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso (Isernia), secondo l’apparizione del
1888, Gesù è adagiato a terra e Maria sta in ginocchio accanto a lui e con le
braccia aperte lo piange e lo offre nello stesso tempo. Altrettanto
frequente è, infinte, l’immagine della Desolata, con Maria dolente presso la
Croce vuota, drappeggiata dalla Sindone, disposta a forma di M sulle braccia orizzontali
del patibolo.
Le congregazioni dell'Addolorata
In relazione alla diffusione della devozione ai dolori
della Vergine, numerose famiglie religiose hanno inserito nel loro titolo un
riferimento a Maria Addolorata: i Doloristi; le Serafiche; le Filippesi Figlie
di Maria Addolorata; le Maestre Pie dell'Addolorata; gli Amigoniani; le Sorelle
Minime della Carità di Maria Addolorata; le Suore dell'Addolorata e della Santa
Croce; le Suore Infermiere dell'Addolorata; le Clementine; le Suore Missionarie
del Sacro Costato e di Maria Santissima Addolorata; le Suore della Santa Croce
e dei Sette Dolori; le Suore della Santissima Madre Addolorata; le Suore Minime
dell'Addolorata; le Suore Serve di Maria Santissima Addolorata; le Figlie della
Passione di Gesù Cristo e di Maria Addolorata.
Espansione del culto
Il culto dell'Addolorata è stato diffuso in tutta
Europa e successivamente in tutto il mondo, dai Serviti e poi anche dai
francescani ed è divenuto uno dei culti più diffusi. Ebbe sviluppi diversi
comunque legati alla Passione di Gesù. In Spagna e nei suoi domini ha prevalso
l’aspetto pubblico e spettacolare la processione dell'Entierro (sepoltura) con
la statua dell'Addolorata e, spesso, anche con altre figure, mentre in Germania
e nelle aree limitrofe, ha prevalso un culto più severo espresso dalle Vesperbild, origine delle Pietà.
Numerose sono le statue, a volte con gli arti mobili,
della Vergine Addolorata con i simboli tradizionali, utilizzate nelle
processioni della Settimana Santa e della sua festa. Ma sono anche molto
diffusi i dipinti e gli arazzi.
Inoltre nel corso del Trecento si diffuse nell'Europa
centrale di lingua tedesca un nuovo soggetto iconografico, noto con il nome di Vesperbild.
La parola significa letteralmente immagine del tramonto, o del vespro, e sta ad
indicare una serie di piccole sculture in legno dipinto, in gesso o in
terracotta, che rappresentano la Madonna seduta che sostiene, sulle proprie
gambe, il corpo esanime e irrigidito di Gesù, morto la sera del venerdì santo.
Questa rappresentazione non è riconducibile ad alcun racconto presente sui
Vangeli, né, eventualmente, sui testi apocrifi che narrano le vicende della vita
di Cristo. Una invenzione, dunque, o più semplicemente una interpretazione
popolare di ciò che verosimilmente potrebbe essere accaduto subito dopo la
deposizione di Gesù dalla croce: i testi sacri narrano che al momento della
crocifissione e della sepoltura la Madonna era presente accanto al proprio
Figlio.
Dai Vesperbild nacque infatti il tema iconografico,
noto col nome di Pietà, che numerosi maestri del XVI secolo dipinsero. La più
famosa è senz'altro la Pietà di Michelangelo Buonarroti, che scolpì in un
bianco blocco di marmo di Carrara, custodita in una cappella della basilica di
San Pietro a Roma.
Il culto in Italia
Nel sud, si sono sviluppati e durano sino ai nostri
giorni i culti legati alla Settimana Santa. Anche nel nord, dove la Spagna fu
presente in alcune aree sino al 1714, si erano sviluppati gli stessi culti
anche per l'opera di san Carlo Borromeo soprattutto nell'arcidiocesi di Milano
(1560-1584), che allora si estendeva sino al Canton Ticino e alla provincia di
Novara. Poi nel 1846 l'Austria proibì definitivamente, per motivi politici,
tutte le processioni, salvando solo quella del Corpus Domini. Oggi, salvo rare
eccezioni, si effettuano processioni solo a settembre e dove l'Addolorata è
patrona. Nella Settimana Santa è spesso presente nelle Vie Crucis.
I santuari dell'Addolorata in Italia
I santuari sono centri importanti per il culto
dell'Addolorata. Se ne trovano 40 al Nord di cui 15 nell'antico territorio
dell'arcidiocesi di Milano, 8 nel centro, 18 nel sud e 12 in Sicilia.
Tra i più famosi non solo per l'Italia ci sono quelli
di: Tolfa presso la chiesa del Monte della Rocca, Rho, Bergamo, Rifiano, Castelpetroso,
Bisceglie, Lecce, Taranto, Palermo, Siracusa, Scicli, Spiazzi.
Il culto dell'Addolorata nel nord d'Italia
Il culto alla Vergine Addolorata inizialmente diffuso
dai Servi di Maria, e oggi presente in alcune aree ma in buona parte è stato
sostituito da altri culti a Maria resistendo, soprattutto dove è patrona o
esistono confraternite, con la festa di settembre.
In ogni regione ci sono località particolarmente
dedicate a questo culto ma è soprattutto diffuso nel Varesotto, Bergamasco,
Novarese, Lecchese, Liguria Emilia e Romagna. Ad Appiano Gentile vi è una
chiesa dedicata all'Addolorata dove ogni 17 di agosto si ricorda la grazia
ottenuta nel 1793, detto anche miracolo della pioggia.
Anche nella diocesi di Trento vi sono vari paesi che
hanno l'Addolorata come patrona o compatrona; tra questi si ricorda Darzo.
Il culto dell'Addolorata nel centro Italia
Inizialmente il culto dell'Addolorata si è diffuso per
opera dei Servi di Maria soprattutto nella parte più settentrionale, mentre
nella parte più meridionale, allora dominio spagnolo, e stato diffuso dalla
soprattutto con il rito dellEntierro o
Cristo Morto. Poi il legame particolare con Roma e alcuni avvenimenti hanno
fatto percorrere anche strade autonome. Tra questi vanno certamente annoverati
quelli del santuario della Madonna Addolorata di Castelpetroso, molto
probabilmente il più noto nel mondo per l'opera dei frati francescani e la tradizione
della Madonna del Pianto con il suo centro a Fermo. Spesso il culto
dell'Addolorata si sovrappone a quello con le lacrimazioni di Maria. In Toscana,
a partire dal 1484, e soprattutto del Cinquecento, le cronache parlano di
immagini della Vergine che hanno pianto o lacrimato sangue.
Il culto dell'Addolorata nel Sud e nelle Isole
d'Italia
La devozione per l'Addolorata, tra le popolazioni
mediterranee, è tra quelle più sentite tra i culti mariani, forse perché la
mostra nella sua condizione più umana. La Sicilia è sicuramente la regione in
Italia più importante per il culto dell'Addolorata. Anche in Puglia ci sono
importanti presenze. In queste regioni molto importante è il ruolo delle
confraternite. La ricchezza e la varietà dei riti e delle feste dell'Addolorata
trovano la loro massima estensione nella Settimana Santa.
La vicenda del dolore di Maria si intreccia con le
vicende della Passione. Alcuni dei riti sono diversi da paese a paese, ma quasi
tutti ripropongono lo schema dell'Entierro al venerdì Santo preceduto al
giovedì dalla processione dedicata all'Addolorata. Nelle processioni, oltre al
Cristo Morto e all’Addolorata, compaiono spesso le Varette e le Vare ossia
piattaforme, di norma trasportate a spalla, dove sono rappresentate scene della
Passione. A settembre i suoi festeggiamenti sono diffusi ma le processioni sono
rare.
Anche a Secondigliano, quartiere alla periferia nord
di Napoli, è presente un santuario dedicato all'Addolorata, per volere di san Gaetano
Errico.
Ebbe inoltre un forte impulso da fatti straordinari
come: la Madonna del Pianto a Roma nel 1546, il miracolo delle tre stelle nel
1678 a Varese; le apparizioni mariane di: Steinbach in Algovia
(1730), Lipsia (1813), Castelpetroso (1888), Quito (1906), Fatima (1917), Kibeho
(1981), Akita (1971) e Cuapa (1980) che fanno espliciti riferimenti alla
Vergine Addolorata.
La Spagna e il culto dell'Addolorata
Il grande sviluppo che ha avuto il culto della Vergine
Addolorata in Spagna, dove era stato portato dai Serviti, si ha in particolare
dal 1506, con la processione dell'Entierro. Poi è diventata il suo più
importante centro di diffusione nel mondo. Oggi un importante patrimonio di
statue, un gran numero di confraternite e una grande passione permettono la
celebrazione di numerose e fastose processioni durante tutto l'anno e in
numerose località. Le statue spagnole si caratterizzano quasi sempre per il
vestito molto sfarzoso, spesso con i colori del lutto nella Settimana Santa,
col cuore in evidenza trafitto da spade e con sopra un fuoco, la testa ritta e
piangente, un aspetto piacente, popolare, più simbolico che realistico. Le più
famose processioni sono quelle della regione dell'Andalusia a Siviglia e Loja
(Granada); della Castiglia-La Mancia a Ciudad Real, Hellin (Albacete), della Castiglia
e León a León; della Murcia a Cartagena e Lorca.
Diffusione del culto nel mondo
Dovunque nel mondo dove c'è una chiesa cattolica c'è
spesso un'immagine che può essere associata alla Vergine Addolorata. Infatti la
si può trovare in forma di dipinto, affresco, statua, o bassorilievo nella via
Crucis, nella Via Matris, in una Cappella, in un altare, sulle pareti della
chiesa o in un oratorio. Tra le immagini più frequenti si trovano quella tipica
dell'Addolorata ma anche quella della Pietà, della Crocifissione o della
Deposizione dove Maria è spesso con san Giovanni evangelista.
Il suo culto è presente in tutti i paesi europei.
L'Addolorata è patrona della Slovacchia e il 15 settembre Festa nazionale.
Inoltre il culto è diffuso nelle terre di immigrazione come ad esempio in Australia,
Stati Uniti e nel Canada di lingua francese.
Le processioni collegate alla Settimana Santa sono
caratteristica soprattutto di Spagna, Portogallo e Italia del sud, e dei luoghi
di loro emigrazione. Infatti si trovano soprattutto in: Brasile, Colombia, Costa
Rica, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Perù, Filippine, Venezuela e Malta,
ma anche negli Stati Uniti e in Canada.
Molto importante è il ruolo delle confraternite,
soprattutto nelle aree di influenza spagnola, nello sviluppo e nella
conservazione del culto dell'Addolorata soprattutto durante la Settimana Santa.
Il culto dell'Addolorata in Europa
Il culto dell'Addolorata dall'Italia si e diffuso
inizialmente soprattutto per opera dei Serviti, ma anche di altri ordini
religiosi ed in particolare dei francescani, in tutti i paesi europei a
cominciare dalla Germania e poi ha avuto uno straordinario sviluppo in Spagna.
I serviti sono presenti e hanno portato il culto dell'Addolorata in: Albania, Austria,
Belgio, Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Italia, Repubblica Ceca,
Spagna e Ungheria.
Il culto dell'Addolorata in America
L'America e terra d'immigrazione dove molto diffuso e
il culto a Maria in particolare quello della Madonna di Guadalupe e quella di Quito.
In numerose località la Vergine Addolorata e venerata secondo immagini,
processioni e riti ripresi dai paesi di origine degli abitanti, ma anche per
opera di numerosi ordini religiosi tra cui i Serviti presenti in: Argentina, Bolivia,
Brasile, Canada, Cile, Colombia, Messico, Stati Uniti e Uruguay.
Il culto dell'Addolorata in Africa
I missionari hanno portato la venerazione della
Madonna Addolorata in Africa ma l'impulso più consistente viene dalla sua
apparizione nel Ruanda. I Serviti sono presenti e hanno portato il culto
dell'Addolorata in: Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Sudafrica, Swaziland
e Uganda.
Il culto dell'Addolorata in Asia ed Oceania
In Asia ed Oceania importante è il ruolo degli ordini
religiosi ed in particolare dei Serviti presenti in: Australia, Birmania, Filippine
e India e dei francescani.
Implicazioni della devozione verso l’Addolorata
Fra i tanti titoli e celebrazioni, il più
sentito perché più vicino alla realtà umana, è quello di Beata Vergine Maria
Addolorata; il dolore è presente nella nostra vita sin dalla nascita, con il
primo angosciato grido del neonato, che lascia il sicuro del grembo materno per
proiettarsi in un mondo sconosciuto, non più legato alla madre e in preda alla
paura e spavento; poi il dolore ci segue più o meno intenso, più o meno
costante, nei suoi vari aspetti, fisici, morali, spirituali, lungo il corso
della vita, per ritrovarlo comunque al termine del nostro cammino, per l’ultimo
e definitivo distacco da questo mondo.
E il dolore di Maria, creatura privilegiata sì, ma sempre creatura come noi, è più facile comprenderlo, perché lo subiamo anche noi, seppure in condizioni e gradi diversi, al contrario delle altre prerogative che sono solo sue, Annunciazione, Maternità divina, Immacolata Concezione, Assunzione al Cielo, Apparizioni, ecc. le quali da parte nostra richiedono un atto di fede per considerarle.
Veder morire un figlio è per una madre il dolore più grande che ci sia, non vi sono parole che possano consolare, chi naturalmente aspettando di poter morire dopo aver generato, allevato ed educato, l’erede e il continuatore della sua umanità, vede invece morire il figlio mentre lei resta ancora in vita, quel figlio al quale avrebbe voluto ridare altre cento volte la vita e magari sostituirsi ad esso nel morire.
I milioni di madri che nel tempo hanno subito questo immenso dolore, a lei si sono rivolte per trovare sostegno e consolazione, perché Maria ha visto morire il Figlio in modo atroce, consapevole della sua innocenza, soffrendo per la cattiveria, incomprensione, malvagità, scatenate contro di lui, personificazione della Bontà infinita.
Ma non fu solo per la repentina condanna a morte, il dolore provato da Maria fu l’epilogo di un lungo soffrire, in silenzio e senza sfogo, conservato nel suo cuore, iniziato da quella profezia del vecchio Simeone pronunziata durante la Presentazione di Gesù al Tempio: “E anche a te una spada trapasserà l’anima”.
Quindi anche tutti coloro che soffrono nella propria carne e nel proprio animo, le pene derivanti da malattie, disabilità, ingiustizia, povertà, persecuzione, violenza fisica e mentale, perdita di persone care, tradimenti, mancanza di sicurezza, solitudine, ecc. guardano a Maria, consolatrice di tutti i dolori; perché avendo sofferto tanto già prima della Passione di Cristo, può essere il faro a cui guardare nel sopportare le nostre sofferenze ed essere comprensivi di quelle dei nostri fratelli, compagni di viaggio in questo nostro pellegrinare terreno.
Ma la Madonna è anche corredentrice per Grazia del genere umano, perché partecipe dell’umanità sofferente ed offerta del Cristo, per questo lei non si è ribellata come madre alla sorte tragica del Figlio, l’ha sofferta indicibilmente ma l’ha anche offerta a Dio per la Redenzione dell’umanità.
E come dalla Passione, Morte e Sepoltura di Gesù, si è passato alla trionfale e salvifica Resurrezione, anche Maria, cooperatrice nella Redenzione, ha gioito di questa immensa consolazione e quindi maggiormente è la più adatta ad indicarci la via della salvezza e della gioia, attraversando il crogiolo della sofferenza in tutte le sue espressioni, della quale comunque non potremo liberarci perché retaggio del peccato originale.
E il dolore di Maria, creatura privilegiata sì, ma sempre creatura come noi, è più facile comprenderlo, perché lo subiamo anche noi, seppure in condizioni e gradi diversi, al contrario delle altre prerogative che sono solo sue, Annunciazione, Maternità divina, Immacolata Concezione, Assunzione al Cielo, Apparizioni, ecc. le quali da parte nostra richiedono un atto di fede per considerarle.
Veder morire un figlio è per una madre il dolore più grande che ci sia, non vi sono parole che possano consolare, chi naturalmente aspettando di poter morire dopo aver generato, allevato ed educato, l’erede e il continuatore della sua umanità, vede invece morire il figlio mentre lei resta ancora in vita, quel figlio al quale avrebbe voluto ridare altre cento volte la vita e magari sostituirsi ad esso nel morire.
I milioni di madri che nel tempo hanno subito questo immenso dolore, a lei si sono rivolte per trovare sostegno e consolazione, perché Maria ha visto morire il Figlio in modo atroce, consapevole della sua innocenza, soffrendo per la cattiveria, incomprensione, malvagità, scatenate contro di lui, personificazione della Bontà infinita.
Ma non fu solo per la repentina condanna a morte, il dolore provato da Maria fu l’epilogo di un lungo soffrire, in silenzio e senza sfogo, conservato nel suo cuore, iniziato da quella profezia del vecchio Simeone pronunziata durante la Presentazione di Gesù al Tempio: “E anche a te una spada trapasserà l’anima”.
Quindi anche tutti coloro che soffrono nella propria carne e nel proprio animo, le pene derivanti da malattie, disabilità, ingiustizia, povertà, persecuzione, violenza fisica e mentale, perdita di persone care, tradimenti, mancanza di sicurezza, solitudine, ecc. guardano a Maria, consolatrice di tutti i dolori; perché avendo sofferto tanto già prima della Passione di Cristo, può essere il faro a cui guardare nel sopportare le nostre sofferenze ed essere comprensivi di quelle dei nostri fratelli, compagni di viaggio in questo nostro pellegrinare terreno.
Ma la Madonna è anche corredentrice per Grazia del genere umano, perché partecipe dell’umanità sofferente ed offerta del Cristo, per questo lei non si è ribellata come madre alla sorte tragica del Figlio, l’ha sofferta indicibilmente ma l’ha anche offerta a Dio per la Redenzione dell’umanità.
E come dalla Passione, Morte e Sepoltura di Gesù, si è passato alla trionfale e salvifica Resurrezione, anche Maria, cooperatrice nella Redenzione, ha gioito di questa immensa consolazione e quindi maggiormente è la più adatta ad indicarci la via della salvezza e della gioia, attraversando il crogiolo della sofferenza in tutte le sue espressioni, della quale comunque non potremo liberarci perché retaggio del peccato originale.
Per poter parlare
delle virtù di Maria SS. Addolorata dobbiamo necessariamente partire
dall’inizio, dalla Genesi per l’appunto.
Satana, col
persuadere Eva a non curarsi del divieto divino fece lega ed amicizia con lei,
contro il Signore. Dio, per opposto disse al serpente: “Porrò inimicizia tra te
e la donna”. Ossia alla tua comunanza orgogliosa e ribelle con Eva, ti leverò
contro la donna umile, obbediente per eccellenza, senza macchia di peccato e
piena di grazia. Ed in questa magnifica opposizione ognuno vede luminosamente
la sublime rivincita dell’Altissimo contro l’opera del serpente. Le parole che
seguono: “tra il seme tuo ed il seme di lei” annunziano evidentemente il
Salvatore, che verrebbe dato, è ovvio, per mezzo di Maria, figlio di Lei.
Ed in grazia di
questo Figlio divino, la
Vergine diverrebbe così grande e potente, da schiacciare la
testa del terribile serpente: “ipsa conteret caput tuum”.
In ciò veniva
vaticinato il pieno ed assoluto trionfo di Maria, la sua vittoria finale,
restauratrice di tutte le cose.
Non è dubbio che la
donna promessa da Dio nell’Eden dopo la rovinosa caduta dei nostri progenitori,
fosse Maria. Ed è bello, è dolce, è confortante al massimo, poter contemplare
con gli occhi della mente, al lume della fede, come la redenzione del genere
umano comincia da Maria, e con Maria, e
si snoda, si svolge meravigliosamente tutta intorno a lei, come un’artistica
tela, o un ricamo divino che riproduce ad ogni tratto un fiore di paradiso, e
questo fiore è la Vergine.
Se il demonio aveva
vinto per la disobbedienza ed il misero gusto di una donna, fu sapienza divina
che venisse debellato, sconfitto per l’umile ubbidienza ed il sacrificio di
un’altra donna: “Ut qui vicerat per formina, vincentur per ispam” scrisse S.
Bernardo. Bisognava ritorcere contro il nemico le stesse sue armi, bisognava
che il genere umano ferito a morte da una donna, fosse richiamato in vita da
un’altra donna, bisognava che Eva fosse riabilitata da Maria, come Adamo da
Cristo.
S. Agostino
compendiò in due concise espressioni: “Per formina mors, per formina vita; per
Hevam intentus, per Mariam salus”. S. Bernardo invece, in un piccolo brano
scrisse: “Eva fu una spina, e Maria fiorì come una Rosa (sbocciata da quella
medesima spina). Eva una spina che inferse delle gravi ferite, Maria una rosa
balsamica che lenì le affezioni morbose di tutti i poveri feriti. Eva una spina
che inflisse a tutti la morte, Maria una rosa che portò a tutti la bella sorte
della salute eterna.
In verità
l’Incarnazione del Verbo che fu il primo gran mistero o l’alba radiosa
dell’umano riscatto, ebbe luogo nelle viscere purissime di Maria, col consenso
e col concorso di lei.
Ora, la figura
dell’Addolorata, cominciò a profilarsi distintamente sul cielo dell’era
novella, sin dal giorno in cui il Verbo si incarnò nel seno della Vergine,
perché Maria, come insegnano Padri, Dottori e Teologi, accettò di divenire la Madre del Verbo con piena
cognizione di causa, ossia conobbe per divina rivelazione che il Figlio suo era
destinato ad essere la vittima espiatrice dei nostri peccati, e vi assentì
pienamente.
Pertanto
l’Addolorata entrava nel disegno magnifico della redenzione sin da principio,
ed era come l’aurora della nostra salute.
Ma la sua
espressione di Donna dei dolori, prese maggiore corpo e consistenza più
compatta nel sacro tempio, all’annunzio del vecchio Simeone, e d’allora si ebbe
un crescendo continuo di pene, di umiliazioni, di angustie, di sacrifici, nello
svolgimento progressivo dei divini misteri, sia di quelli misti di gaudio e di
amarezza, sia di quelli puramente dolorosi.
Maria concorse,
cooperò prossimamente alla redenzione del genere umano, grazie al suo consenso
pieno ed esplicito che dette alla morte del Figlio, anche senza il previo
assenso della Madre, che vantava un certo diritto sulla vita del Figlio. Ma
ella conferì ancora più efficacemente e più eroicamente alla nostra salute
perché volle trovarsi presente sul Calvario alla Crocifissione di Gesù, per
dividere con lui tutte le angosce, gli spasimi, gli obbrobri, le pene
dell’agonia e della morte.
Ella dunque meritò
il titolo sovrano di Corredentrice del mondo a costo di infiniti dolori, ed
entrava così stupendamente nel disegno dell’Altissimo, quale ministra e
cooperatrice di Cristo, nella sublime opera della redenzione ed elevazione del
genere umano.
Pertanto come un
uomo ed una donna avevano perpetrato la rovina e perdizione di tutti gli
uomini, similmente volle il Signore che Cristo e Maria, il nuovo Adamo e l’Eva
novella, quasi immedesimandosi nel sacrificio della Croce, operassero la
rinascita spirituale e la salvezza di tutta l’umanità.
Uno dei primi e più
importanti insegnamenti intorno al dolore è che esso, nato dal peccato, fu da
Dio trasformato e volto in antidoto e rimedio del male, in distruzione dello
stesso peccato. Iddio non creò il peccato, ma non volle distruggere le
conseguenze del peccato, disse in modo ammirabile S. Agostino.
Per questo motivo
le ragioni inflessibili della divina giustizia richiedevano necessariamente una
riparazione del male, ed ogni colpa porta con sé l’obbligo di riparare per
l’ingiuria arrecata a Dio. Chi ha gustato il dolce della colpa, è giusto che
saggi l’amaro della pena.
Dio però non si
prefigge la punizione degli uomini come scopo unico; invece la sua mano
percuote e sana, affanna e consola, atterra e suscita, ci abbassa anche nel
fondo dei mali, per sollevarci più in alto, al sommo della gloria. Il dolore,
nelle mani di Dio, diventa fattore di ordine e di nuove e più belle armonie.
L’espiazione del
peccato, importa anzitutto l’umile accettazione dei mali, un atto di profonda
umiltà, perché il primo peccato fu una dimostrazione di superbia, e la superbia
si nasconde in ogni peccato, mentre non c’è cosa che faccia meglio intendere
all’uomo la sua miseria, il suo nulla, che riesca ad umiliarlo maggiormente
quanto il dolore.
Scrisse
egregiamente un sincero convertito: “Per quella legge dei contrari che regna
nel piano divino, non acquista il tutto chi non si annulla, non si può ottenere
il sommo Bene, che partendo dalla lieta accettazione del male non si può
regnare che dopo avere ubbidito”.
Tuttavia i mali
vengono affinché il peccatore rientri in sé stesso, conosca la sua miseria, la
sua debolezza, il suo torto con Dio, e gli domandi umilmente il perdono.
I figli di Giacobbe
non sentirono mai dolore né rimorso del loro attentato contro del proprio
fratello. Non le lacrime del vecchio genitore, né le querele dei parenti, né il
lutto degli amici poterono cavare dagli occhi loro una lacrima, o dal loro
cuore un sospiro, un “Dio mi pento”, nulla. Ma quando in Egitto vennero
apparentemente trattati da esploratori e da ladri, e chiusi in prigione,
provarono subito un vivo senso di resipiscenza, aprirono gli occhi della mente
e della coscienza per ammettere e detestare il delitto perpetrato contro
l’innocente Giuseppe, loro fratello; e per questo misfatto, si confessarono meritevoli
della pena ricevuta, non per la colpa ad essi addebitata, che in realtà non
avevano commessa.
Fu necessario che
il Figliol Prodigo venisse ridotto alla miseria estrema, per comprendere il suo
stato miserando, conseguenza dei suoi disordini, ed emettere dal fondo del
cuore quel grido di ravvedimento: “Tornerò dal padre mio, come fece difatti, e
si riconciliò con lui”.
Ancora, sul
Golgota, il cattivo ladro: egli si chiude cinicamente nelle sue pene ed angosce
di morte, rifiuta di riconoscere Gesù innocente e Signore del tutto, lo
bestemmia anzi, lo maledice in cambio di supplicarlo, e muore impenitente,
perduto in eterno, vicino all’autore della resurrezione e della vita. Per
opposto, il buon Ladro confessa umilmente la sua reità, proclamando Cristo innocente
e Signore, pregandolo di ricordarsi di lui quando sarà entrato nel suo Regno. E
bastò quell’umile confessione intrecciata alla confidente preghiera, perché di
un pubblico malfattore Cristo facesse un Santo ed un beato cittadino del cielo.
Dio non vuole la
morte del peccatore, ma che si converta e viva. Il padre più buono ed amoroso,
la più tenera delle madri non saprebbero verso dei loro colpevoli figli usare
maggiori finezze di amore, trovare espressioni più adatte, più varie, più belle
per assicurarli del loro generoso perdono, come le usa Dio nell’invitare i
peccatori a penitenza.
Ed affermò pure
Sant’Agostino che “niuno può peccare tanto quanto può Dio perdonare”.
Tutta la storia del
Paradiso terrestre era ordinata a Cristo, a Maria ed alla Chiesa. Dio,
plasmando Adamo, mirava al Verbo da incarnarsi, e formando Eva, guardava Maria,
la Madre
avventurosa del futuro Messia. Così nel trasmettere per il tramite di Adamo e
di Eva la vita fisica, la salute naturale ed una figliolanza interminabile, il
Creatore aveva dinanzi alla mente, come una visione magnifica di luce, la vita
infinitamente più bella della nuova grazia e della salute eterna, che un giorno
avrebbe ridonato all’umanità caduta, per mezzo di Cristo Redentore, il secondo
Adamo, cui sarebbe stata associata per grazia l’Eva novella, la Vergine Maria.
E allora, la
dolcissima parola di Cristo, rivolta a Giovanni dall’alto della croce: “Ecco la Madre tua”, sarebbe come
un’eco melodiosa, una versione libera, una interpretazione autentica, fatta dallo
stesso autore, ma molto più splendida del testo originale, che diceva: “Non è
bene che l’uomo sia solo, facciamogli un aiuto a lui somigliante”.
Questo aiuto simile
all’uomo, con felice trapasso dal naturale al sovrannaturale, voleva
significare Maria, l’Eva novella e la vera madre dei viventi.
Se per Egli non
fosse giusto che l’uomo fosse solo nell’ordine della creazione, ciò valeva
maggiormente per i figli della redenzione, i quali certo sentivano un bisogno
più vivo e pressante di un’ausiliatrice simile a loro, per conforto maggiore
nella vita soprasensibile e sovrannaturale della grazia, e questo aiuto
prezioso, somigliante, fu Maria.
Ma perché volle
Iddio, sia naturalmente che sovrannaturalmente apprestare all’uomo una
ausiliatrice simile a lui, Eva e Maria? La motivazione è certamente che Egli
voleva fondare l’aiuto sulla base dell’amore vicendevole; e si sa che i simili
amano i loro simili “similis similem appetit”.
Anzi l’amore rende
simili quegli stessi che tali non erano dal principio: “Amicitia pares aut
invenit, aut facit” scrisse S. Girolamo.
Maria dunque,
essendo una Madre del genere nostro, figlia di Adamo e di Eva come noi tutti,
anche naturalmente ci avrebbe amato con amore grandissimo, sapendo di amar
creature, plasmate di sangue e di carne umana come Lei.
Dal canto nostro,
per la medesima ragione di somiglianza con la Vergine, noi avremmo riposto in
una Madre così umana, la nostra piena confidenza ed il nostro amore di figli
ossequenti, devoti ed affezionati.
Ed è importante
ricercare in questa somiglianza con la prole, la superiorità e l’eccellenza
dell’amore materno su tutti gli altri amori.
La madre vede nei
figli il frutto dolcissimo delle sue viscere e del suo amore; osserva,
riscontra in essi una copia viva ed animata del suo essere e della sua medesima
persona; giacché i figli son sangue del suo sangue, carne della sua carne,
latte del suo latte, e non rare volte essi portano impressi visibilmente gli
stessi profili e lineamenti della madre, riproducono nelle loro fattezze la fisonomia
della propria genitrice. Ma l’identità di natura, la nota più classica e più
significativa della perfetta somiglianza di Maria con tutti gli uomini nessuno
eccettuato, è da ricercarsi nel dolore.
Non c’è uomo o
donna su questa valle di pianto, che non porti nelle sue membra, e molto più
nel cuore, qualche stimmate della Madre Addolorata, ed è per questa comunanza
di lacrime e di dolori che Maria riesce simile a tutti i suoi figli, non pure
ai giusti, ma anche ai peccatori, e li ama tutti di un amore tenero, materno,
ineffabile.
La storia
dell’umanità è senza dubbio, in grandissima parte, narrazione di patimenti, di
fatiche immani, di epidemie, di calamità, di persecuzioni, di guerre, di lotte
fratricide, di tragedie pubbliche e domestiche, di mille drammi dolorosi,
quotidiani.
La storia stessa
dei grandi beni e delle magnifiche e gloriose conquiste della fede e del genio
umano, come la propagazione del Vangelo in tutto il mondo, il diffondersi della
civiltà cristiana, il progresso delle scienze, delle arti, del commercio, delle
grandi invenzioni, è a base d’immensi sacrifici e di infiniti dolori. E fu
detto con verità, che i popoli felici non hanno storia.
I figli di Adamo,
distinti per razza, clima, lingua, cultura, ceto, costumi, religione, dall’alto
e dal basso, da vicino e da lontano, convengono tutti in un centro comune,
universale: il dolore; si eguagliano, si pareggiano nel dolore e nella morte.
Ad una tal progenie
veniva assegnata per madre Maria, e fu concerto armonico, accordo mirabile
della sapienza amorosa di Dio, di dare a figli miseri ed afflitti, una Madre
Addolorata per eccellenza.
Una madre degli
uomini senza doglie, estranea ai dolori della vita, che non sapesse cosa fosse
il soffrire, sarebbe stata una madre di parata, un oggetto di lusso, di
abbigliamento, incapace di compatirci, di saperne apprestare un sollievo, un
conforto nei casi tristi e dolorosi, nelle ore meste di pianto.
Non senza che
Cristo volle aspettare l’ora tragica, angosciosa della sua morte per il
compimento della nuova maternità della Vergine. In quell’ora in cui tutti gli
strazi, le tristezze, le pene di morte del Crocifisso si riversavano quasi
torrente impetuoso, nell’anima di Maria, in quell’ora Gesù la proclamò
solennemente Madre degli uomini. “Partorirai nel dolore”, aveva ingiunto Iddio
alla prima donna Eva, “in dolor paries”. Quelle parole figuratamente andavano
rivolte anche alla Vergine, in ordine ai figli di adozione, perché Ella aveva
partorito Gesù, suo figlio naturale, nel gaudio, senza la minima doglia. Ma i
dolori che Maria sfuggì nel partorire Gesù, sostenne poi nel mistico parto
dell’umanità, rigenerata ai piè della Croce, quando Ella offrì il Figlio
divino, e, Madre di Gesù, divenne pure la Madre rigeneratrice dei miseri figli di Eva.
Ancora, la magnifica
armonia del dolore si dimostra maggiormente, considerando che Dio voleva far
della Vergine la Madre
per eccellenza del bello amore e della vera misericordia. “Ego Mater pulchrae
dilectionis – Mater misericordiae”.
L’amor di madre è
forse la cosa più bella e più ammirabile che Dio abbia fatto su questa terra
ingrata e spinosa, anche a guardarlo semplicemente dal lato naturale ed umano.
Ma il cristianesimo ha transumanato l’amor materno, sublimandolo ad una
bellezza ideale, trascendente, divina sul tipo di Maria, Madre di Dio e degli
uomini.
E pare che non si
possa concepire nel senso altamente cristiano un amore materno più bello, più
meraviglioso di quello che nasce e balza fuori dal dolore, dal sacrificio
accettato, sostenuto dalle madri con cuor puro, in spirito di umiltà, di
preghiera, di sublime rassegnazione, per promuovere il maggior bene spirituale
dei figli.
Dio, come si
esprimono alcuni santi Dottori, ha diviso il suo Regno, ritenendo per sé quello
della giustizia, ed affidando nelle mani della Vergine il regno della pura
misericordia.
Ora, è scritto di
Gesù che per divenire misericordioso, dovette in tutto farsi simile ai fratelli
– simile nelle debolezze, nelle necessità, nelle sofferenze e nei dolori della
natura umana, tranne il peccato. Certo, Gesù in quanto Dio era per natura
essenzialmente misericordioso ab aeterno, ma non di una misericordia che lo
commoveva, lo agitava, lo rendeva mesto, afflitto, lo faceva piangere sui mali
della sua patria e sulla tomba degli amici.
Ma, fatto uomo in
tutto simile a noi, ed avendo provato in sé stesso le necessità, le debolezze,
i dolori della natura umana, cominciò a sentire una pena intrinseca dei mali
altrui, ad averne un vero compatimento, e divenne così misericordioso anche per
propria esperienza, dice S. Tommaso.
Se questo Apostolo
potette affermare dell’Uomo-Dio, conveniva tanto maggiormente che Maria si
rendesse somigliante ai figli adottivi in tutti i dolori della vita, perché
divenisse una vera Madre di misericordia per propria esperienza.
Ecco perché Dio non
la creò subito Madre degli uomini, ma dopo un lungo tirocinio di prove dure e
faticose, di esperimenti ingrati, acerbi, dogliosi, d’ogni fatta. La dispose
alla nuova Maternità di adozione nel cammino erto e spinoso di molti anni, sino
all’ascesa del Calvario, la prova più tragica ed angosciosa.
La Madre della
misericordia non fu opera di fusione, ma di scalpello e di cesello. Come un
valente artista, che battendo sul blocco di marmo, foggia poco a poco la statua
del dolore, così l’Artefice divino, a forza di colpi dolorosi, dati
ripetutamente, sino all’ultimo colpo maestro, finale, apprestato sul Golgota,
trasse fuori a perfezione incomparabile la statua animata e vivente del dolore
e la Madre
della misericordia per eccellenza, Maria.
Che cosa abbiamo
mai noi sofferto, che non abbia già sofferto e patito Maria?
“O Maria – esclama
S. Bonaventura – il peccatore, quand’anche fosse divenuto il rifiuto del mondo
intero, non vi fa affatto orrore; ma voi l’accogliete con tenerezza materna, e
non l’abbandonate finché non l’avrete conciliato col suo supremo Giudice”.
Mentre per le sue
virtù trascendenti, per i suoi privilegi singolarissimi e per la pienezza della
grazia divina, Maria dista mille e mille miglia da tutte le creature, prendendo
una fisionomia tutta sua propria, in grazia poi del suo patire, Ella è
vicinissima e accostata a tutti gli uomini perché le note dolenti, comuni a Lei
e alla misera umanità, le danno una somiglianza perfetta con tutti i mortali,
essendo tutti figli del dolore.
Il manto scuro
dell’Addolorata è immenso come la volta dei cieli, si stende, si allarga come
l’oceano, capace di raccogliere nelle sue pieghe infinite tutte le miserie
umane, dove i figli del dolore trovano un rifugio sicuro, un asilo di pace e di
protezione, il porto di salute e di vita eterna.
Ma cosa vuol dire
non dimenticare o meglio ricordare i dolori di Maria? In linguaggio religioso,
ascetico, questa espressione equivale a significare: coltivate una tenera
devozione ai dolori della Vergine, amare teneramente la Madre Addolorata. Praticando
questo meriteremo le migliori benedizioni e misericordie di Dio.
E’ proprio
dell’amore portarsi spesso, se non altro, col pensiero e con l’affetto alle
persone e alle cose care e dilette. Ricordar quindi i dolori della Vergine vale
lo stesso che pensarli, meditarli frequentemente; e si sa che la meditazione è
luce di verità, che illumina e rischiare la mente, ed è fiamma di amore che
accende i cuori di carità a Dio, alla Vergine e ai Santi. Chi medita poi la
compassione di Maria, naturalmente è portato a considerare di pari passo la
Passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo; e un simile ricordo, non
speculativo, ma pratico, riesce efficacissimo a commuovere gli animi, a
compungere le coscienze e a far sì che per prima cosa piangiamo e detestiamo i
nostri peccati, che furono i veri carnefici del Figlio Crocifisso e della Madre
Addolorata.
Ecco il primo
frutto salutare e necessario della devota rimembranza dei dolori della Vergine,
la contrizione del cuore.
Ma ricordando con
fede e con amore le pene tristissime di Maria, ci sentiremo dolcemente
attratti, sospinti ad imitare le virtù elette, di cui ella dette esempio
fulgidissimo nella compassione del Figlio divino.
Ricordare quindi i
dolori di lei, è come dire imitare la sua profonda umiltà, la perfetta
ubbidienza e la rassegnazione nelle croci che a Dio piacerà mandarci, specie
quelle che ci costano molte umiliazioni, e ne rendono vili ed abbietti agli
occhi del mondo. Vuol dire altresì imparare da Maria a soffrire con pazienza e
dolcezza cristiana, le ingiurie, i disprezzi, gli oltraggi, le ingiustizie, le
calunnie, che ci vengono inflitte dai tristi, dai nemici e sovente anche dagli
amici.
E’ sotto la sferza
e la tempesta dei mali, ad imitazione del Crocifisso e della Madre Addolorata,
che perdoneremo di cuore ai nostri offensori, pregando anzi il buon Dio a
perdonarli anch’Egli dal cielo, ed a chiamarli a penitenza ed a salute.
Il Calvario è il
monte degli amanti, scrisse S. Francesco di Sales, e voleva dire che su quel colle
della mirra alla vista e considerazione del Crocifisso e dell’Addolorata
s’impara a soffrire per amor di Dio e per il bene delle anime in spirito di
pietà, di mitezza, di carità e di sacrificio.
Ora amare Dio
nell’amarezza del fiele e dell’assenzio, amarlo cioè nel saper soffrire, questa
è la prova del più puro e più santo amore; questa è la tessera degli amanti
autentici, genuini di Cristo e di Maria; perché come ben disse lo stesso Sales
“amare Dio nello zucchero, ossia nelle prosperità, è troppo semplice, comodo e
pratico”.
La ricordanza
cristiana, ascetica dei dolori della Vergine importa l’esercizio delle più
belle virtù, di quelle specialmente più umili e meno vistose agli occhi del
mondo, ma certo più care a Dio.
E non si possono
contare quanti frutti di grazie e di benedizioni celesti spuntano e maturano da
questa devozione. Secondo ciò che riferisce un’antica tradizione, nostro
Signore promise un giorno che accorderebbe quattro grazie speciali a quelli che
praticheranno la devozione dei dolori di sua Madre.
La prima di queste
grazie sarebbe una contrizione perfetta di tutti i loro peccati, quando fossero
vicino a morire.
La seconda grazia
sarebbe una protezione speciale nell’ora della morte.
La terza che i
devoti dell’Addolorata avrebbero la
Passione di Gesù altamente impressa nella mente.
La quarta grazia
che sarebbe accordata una efficacia particolare alle preghiere di Maria in loro
favore.
E’ cosa così santa
e salutare la memoria dei dolori di Maria, che a volte è bastato anche un
minimo di tal devozione, per ottenere da Dio le più prodigiose conversioni e
salvare dalla morte eterna peccatori più induriti dagli uomini più perduti.
Nelle rivelazioni
di S. Brigida si racconta questo insigne miracolo delle pietà di Maria.
Un uomo di assai
nobili natali, ma di costumi corrotti, aveva condotto una vita di settant’anni
nel servizio di satana, infangato nelle più luride e malsane passioni. Venuto a
morte, sarebbe certamente precipitato nel più profondo dell’inferno, se il
Signore non gli avesse usato una misericordia grande, straordinaria.
Gesù comparve alla
sua serva S. Brigida, ordinandole di mandare a quel gran peccatore il di lei
confessore “per convertirlo”. Il Ministro di Dio si presentò senz’altro al
misero moribondo per persuaderlo a confessarsi, ma questi lo respinse, dicendo
che non aveva bisogno dei Sacramenti. A una tal ripulsa non si dette per vinto
il zelante sacerdote, e di lì a non molto andò una seconda volta al letto
dell’infermo; ma tutto indarno, senza alcun frutto. Il misericordioso Gesù, che
voleva salvo ad ogni costo quel miserabile, riapparve a S. Brigida,
assicurandola che se quell’infelice peccatore avesse visto per la terza volta
il prete, si sarebbe convertito davvero. E così fu. L’uomo di Dio, presentatosi
di nuovo al moribondo, per prima cosa lo fece consapevole della visione avuta
dalla Santa.
Eh, padre – esclamò
allora piangendo l’infermo – come è possibile che Iddio voglia usare
misericordia ad un’anima che sempre lo ha disprezzato, insultato e maledetto?
Tu non devi dubitare affatto della misericordia di Dio – rispose subito il
confessore – Egli mi ha mandato a te per perdonarti tutto il male che hai fatto
nella tua lunga vita. Il misero peccatore prese animo a queste parole e con
grande confidenza dell’infinita misericordia del Signore, si confessò in quello
stesso giorno per ben quattro volte, ricevette con devozione il SS. Viatico e
il dì seguente spirò in santa pace. Gesù apparendo ancora una volta a S.
Brigida la informò che il morto era salvo e sarebbe stato per poco in
purgatorio e presto volato nel cielo.
Meravigliata la Santa del come si fosse
salvata quell’anima gravata di tante colpe, Gesù le disse: “Si è salvata perché
quando pensava ai dolori della Madre mia, la compativa.”
Ma accade non rare
volte che il Dio, altamente sdegnato, per le grandi ingratitudini ed iniquità
degli uomini, si mostra sordo alle loro preghiere, tien chiuse fortemente le
mani a non concedere grazie e speciali favori, ritarda il suo intervento ed
aiuto divino nelle grandi sciagure.
E allora
efficacemente fa prova la mediazione potentissima della Vergine.
Si racconta
dell’antico Milone, famoso per la sua forza erculea, che egli avesse muscoli
così ferrei e tenaci, che quando chiudeva la sua mano, nessuno era capace di
aprirgliela. Ma se per caso gli si fosse fatta accanto a tentar la prova, una
mano gentile di persona a lui cara e diletta, riusciva ad aprire quel pugno
serrato con molta facilità.
Ebbene sia quanto
si voglia adirato il Signore, siano strette e serrate le sue mani fortemente,
se a Lui si farà innanzi Maria, muterà ogni cosa come per incanto. Una prece,
una lacrima sola della Vergine bella, da Dio amata sopra tutte le creature,
basterà ad aprire con facilità l’una e l’altra mano dell’Onnipotente, e subito
gli uomini saranno riempiti dei doni, delle grazie e delle benedizioni divine.
A condizione, però,
che essi facciano penitenza delle proprie colpe.
Come ammonisce S.
Paolo, non possiamo seguire Gesù nella gloria, se prima non lo avremo seguito
nella passione.
Qui si vuole
seguire Gesù nelle ignominie, negli abbassamenti, nell’umiltà, nella povertà,
nei patimenti e nella perfetta ubbidienza da lui mostrata, sino alla morte di
croce “usque ad morte, mortem autem crucis”.
Se durante la
nostra settimana di Passione, che è la vita presente, sapremo come i Santi
crocifiggere la nostra carne, rinnegare noi stessi, portar con onore le
stimmate del Crocifisso; se, per espiare i nostri peccati sapremo, come Davide,
la Maddalena,
vivere una vita di penitenza e di compunzione, spremere lacrime di sangue dal
cuore; se, in difetto di meglio e di tutto, ridotti in fin di vita, sapremo
magari come il buon ladro, in spirito di fede, di umiltà e di rassegnazione,
accettare dalle mani di Dio la morte che a lui piacerà mandarci, consacrare al
Signore almeno l’ultima ora del vivere nostro; spunterà per noi pure la Pasqua
della resurrezione, della gloria; dalle spine del dolore sbocceranno le rose
immarcescibili della felicità, e sulle arpe d’oro canteremo in eterno il canto
dell’alleluia.
Dal Calvario al
Cielo corre brevissimo tratto; non c’è che un salto, un passo, un momento:
“Oggi sarai con me in Paradiso!”.
E’ un bisogno vivo,
potente del nostro cuore di possedere le immagini, le fotografie dei parenti,
degli amici, dei benefattori, quando essi specialmente siano sul punto di
separarsi da noi.
Si vorrebbe allora
aver qualche cosa d’intimo, di vivo nelle loro medesime persone, ma, ciò non
essendo possibile, ci si contenta delle loro effigie o dei ricordi. Gesù, a cui
niente può essere ignoto, dal canto suo si compiacque di soddisfare
meravigliosamente a queste giuste esigenze del cuore umano, anche senza essere
richiesto.
E poche ore prima
di morire, sull’ascesa del Calvario, pensò di imprimere l’immagine del suo
Volto sul bianco lino della Veronica, in quello che la pia donna, con gesto
delicato, gli asciugava la fronte madida di sudore, intrisa di sangue.
Dopo morto lasciò
quasi dipinta l’intera figura del suo corpo sulla candida sindone, nella quale
venne avvolto e seppellito.
Ebbene, il ritratto
del Volto Santo apparso sul sudario, porta le stimmate della Passione, la
corona di spine sul capo, gli occhi velati di mestizia, le guance illividite e
solcate da rubini di sangue. Similmente l’effigie della Sacra sindone è quella
di un uomo martoriato, di una vittima di strazi e di dolori.
Il ricordo, dunque,
più caratteristico e più salutare che Gesù volle lasciarci di sé, in dipartirsi
da noi, furono, diremo così, due fotografie, che non rappresentano altro se non
l’Uomo dei dolori, raffigurano proprio il Dio Crocifisso.
Ma c’è di meglio e
ancora di più prodigioso.
Un semplice uomo,
con tutto il suo buon volere e l’affetto più intenso ai suoi, non potrà loro
lasciar di sé che una sua bella immagine, una veste, un suo anello, una ciocca
dei capelli e basta. Cristo, invece, morendo, lasciò agli uomini tutto sé
stesso, vivo e vero, lasciò il suo corpo vivente, il suo sangue, l’anima e la
divinità.
E anche questa
volta il ricordo o il ritratto singolare, che con prodigio inaudito ci regalò
di sé medesimo il Signore, non fu altro che il Crocifisso, non già in semplice
dipintura, ma diremo il Crocifisso di carne viva, palpitante di vita, vampante
di amore infinito per l’umanità. Tale infatti è la Santissima Eucarestia,
considerata come Sacrificio, il Crocifisso vivente ed operante tra noi, dal
momento che Essa è una rinnovazione del Sacrificio della Croce.
I predestinati alla
gloria devono, in questo o in quel modo, divenir conformi all’immagine del
Crocifisso, e quelli da Lui dissimili, busseranno invano alle porte del celeste
convito, per esservi ammessi, poichè lo Sposo divino risponderà di dentro, come
alle vergini stolte: “Io non vi conosco”.
L’età nostra
incredula, avida di voluttà, ebbra di lussuria, ha messo fuori, ha esiliato il
Crocifisso da ogni luogo, vedendosi da lui troppo dissimile e dissonante.
“L’Uomo dei Dolori – scrisse l’insigne P. Texier – sarebbe un guastafeste tra
questi uomini”.
Se per tanti
aspetti luminosi, il ritratto tipico, significativo del Cristo deve dirsi il
Crocifisso, non si esiti ad affermare che similmente il ritratto per eccellenza
di Maria sia l’Addolorata. Di qui le lodi in onore del Crocifisso, come raggi
d’oro del sole cadente, si riflettono e raccolgono in un fascio di luce
meravigliosa sulla Madre dei Dolori; perché la compassione della Vergine non è
se non un riverbero, un’eco fedelissima della Passione e morte del Figlio
Divino.
Certo che non tutto
quello che si dice del Crocifisso si può ripetere assolutamente e alla lettera
di Maria; ma, vista e ammirata la bellezza divina dell’originale, si comprende
meglio e si ammira tanto più l’Addolorata, che è il riflesso più bello e più
completo, è una copia perfetta del Crocifisso.
Fu scritto che
Cristo nelle sembianze naturali, nel color dei capelli, delle pupille, della
carnagione era in tutto somigliante a Maria. Questo piace, ed era bello a
vedersi, ma torna infinitamente più bello e più proficuo, il conoscere e
contemplare al lume della fede, che Maria, nell’ordine sovrannaturale, appariva
in tutto conforme e somigliante al Figlio crocifisso, ed in questo è riposta la
grandezza massima, la gloria più ammirabile della Vergine.
Non senza ragione la Chiesa la saluta ed invoca
coi bei nomi di Madre purissima e castissima, di Vergine delle vergini, e la
proclama concepita senza macchia di peccato, ed immune altresì da ogni minima
colpa attuale. Maria fu pure la piena di grazia e tutta bella sin dal primo
istante di sua esistenza; “tota pulchra”, e tutta santa, panaghia, come la
dicono i Greci.
E per queste doti
trascendenti di santità e purezza, Ella meritò di venire associata al
sacrificio della croce per essere la riparatrice degnissima del mondo, come
afferma S. Anselmo.
La somiglianza
della Passione di Gesù e di Maria, ecco il concetto informatore ed altamente
significativo di quel quadro, rispondente alla profezia del vecchio Simeone,
che fuse insieme il martirio del Figlio e della Madre.
Si poteva dire che
due auguste persone si consumavano come una sola vittima, su di un medesimo
rogo, e da un medesimo fuoco si elevava una nube d’incenso aromatico, al trono
dell’Altissimo per placare il suo sdegno.
La S. Messa rinnova
ogni giorno sotto i nostri occhi il Sacrificio del Calvario, e ci ridice, come
dovrà ridire sempre, a tutti gli uomini, in tutti i secoli, che Gesù patì e
morì per noi, e con lui soffrì la sua Madre Santissima, che l’offrì in
olocausto al Padre Celeste per la salute del mondo.
Tra i motivi più
santi e più eccellenti perché la Vergine
Santa volle assistere sul Calvario alla morte del Figlio
divino, si deve annoverar quello di voler partecipare con la sua angosciosa
presenza ai quattro fini altissimi e santissimi del sacrificio della Croce, di
adorazione cioè, di ringraziamento, di propiziazione e di supplica o
impetrazione. Or questi che furono i quattro fini specifici del Sacrificio del
Golgota, sono altresì propri, identici del Sacrificio Eucaristico, la Messa.
Tutto ciò che si fa
nella Messa, tutti gli apparati e tutte le cerimonie non sono altro che un
rappresentazione della Passione di Gesù Cristo; perciò nella Messa, sopra ogni
altra cosa, è necessaria la memoria della morte di Cristo, avendo detto egli
stesso: fate questo in memoria di me.
E si ripete
costantemente da secoli, che dove è in fiore la devozione alla Madonna ivi
verdeggia e fiorisce altresì il culto Eucaristico.
In ogni festa della
Vergine la mensa Eucaristica si vede attorniata da una moltitudine di fedeli, e
d’altra parte il numero stragrande delle comunioni, l’assistenza alla Messa e
le processioni Eucaristiche sono diventate l’abitudine di tutti i pellegrini
che si portano ai santuari di Maria. L’avvenimento sommamente religioso e
devoto tocca il punto culminante a Lourdes.
In quella terra
benedetta e sorrisa da Maria, Gesù Eucaristico viene adorato, invocato,
glorificato ogni giorno da gente multiforme di pellegrini e devoti, che
accorrono a Lourdes da tutte le parti dell’Orbe. Quando l’Ostia Santa viene
portata in trionfo, e passa benedicendo a tutti, specie ai malati, agli
infermi, prostrati ai suoi piedi – con le ginocchia della mente chine – pare
d’assistere alle peregrinazioni di Gesù per le contrade della Palestina. Mille
voci diverse echeggiano all’unisono, mille invocazioni si rivolgono al SS.
Sacramento: “Gesù, Figlio di David, abbi pietà di noi – Signore, fa’ che io
veda – che io creda – che io cammini – che riacquisti la salute ecc. – Dì, o
Gesù, la parola onnipotente, e sarò guarito”.
A queste frasi
s’intrecciano invocazioni di fede, di speranza, di amore a Maria Santissima –
Salute degli infermi – Rifugio dei peccatori, prega per noi – Consolatrice
degli afflitti – Nostra Signora di Lourdes – Nostra Signora del SS. Sacramento,
prega per noi.
E all’accordo
magnifico, alla fusione delle voci supplichevoli, nel passaggio del Santissimo,
le guarigioni prodigiose degli infermi, le conversioni dei peccatori, la
rassegnazione, la calma, il sollievo dei sofferenti avvengono in piena luce
meridiana, sotto gli occhi di tutti.
Così lo splendore,
il trionfo della devozione a Maria genera l’amore a Gesù e il trionfo
dell’Eucaristia. “Ad Jesum per Mariam”.
E notate ancora una
volta, che il fiore più bello, il frutto più soave e salutare della devozione
alla Madonna, vuol essere un amore più puro, più intenso, più operoso,
un’adorazione più fervida e profonda, un’unione più santa e più intima a Gesù
Eucaristico; e quando si è più vicini e più uniti col pensiero, coll’affetto,
colle pratiche di pietà e di religione, a Gesù Ostia, ci si sente di stare
parimenti ancora più accosto a Maria, dico particolarmente più vicino al suo
infinto dolore.
La devozione all’Addolorata
ci conduce come per mano di madre all’Altare Eucaristico, sia per ascoltare la Messa, sia per fare la Santa Comunione, sia per
visitare ed adorare il Divin Prigioniero d’amore. E assistendo devotamente alla
Santa Messa, per noi è come assistere al medesimo Sacrificio del Calvario; ed
allora accanto alla Croce di Gesù, troveremo immancabilmente Maria. Ed insieme
colla Vergine Santa avremo parte ai fini così santi ed efficaci del Sacrificio
Eucaristico, di rendere cioè a Dio il più grande onore ed una gloria somma, con
un culto perfetto, un’adorazione degna della Divinità; di presentare
all’Altissimo un’azione di grazie infinite.
Raccoglietevi con
fede, con umiltà, con filiale confidenza ai piedi di Gesù Sacramentato, che
troverete in ogni Chiesa, accoglietelo spesso nel vostro petto, nella Santa
comunione, ricorrerete colle vostre preghiere alla Madre Santissima, specie
sotto il titolo del suo dolore, e vi leverete dagli altari Eucaristici ripieni
di pace, di coraggio, di dolcezza ineffabile, e vi sentirete forti per andare
incontro anche alla morte col sorriso sulle labbra e la calma nel cuore.
Il serafico S.
Bonaventura, illustrando una sentenza di S. Pier Damiano, ebbe ad asserire che
la maggiore nostra gloria in cielo ed il gaudio più vivo, dopo la visione di
Dio, sarà la contemplazione di Maria.
Non si può
concepire il riso, non riesco a meglio gustarlo , se non dopo le lacrime, non
si può godere la luce, se non dopo il buio e le tenebre della notte, non si può
ammirare l’azzurro, il sereno, se non dopo le nuvole e la tempesta.
Pertanto bisogna
aver sofferto per meritare ed assaporare meglio le gioie della felicità; prima
i patimenti, le umiliazioni, le ignominie, il martirio, poi l’esaltazione,
l’apoteosi, la gloria.
Ben si appose un
illustre autore, (Faber) asserendo che il trionfo dell’Assunzione fu dovuto
principalmente all’amarezza della Compassione di Maria.
Il dolore, mezzo,
contrassegno di somiglianza a Gesù Crocifisso, cagione di più intima unione con
Gesù Eucaristico; il dolore, sublime sacrificio di lode a Dio, e simili
considerazioni. Ecco le ultime, più belle, ed armoniche note che raccogliamo
dal poema musicale del dolore cristiano. E guardando la cosa in Maria,
proporremo l’argomento a questo modo: Conveniva che la Vergine fosse qui in terra
l’Addolorata o la Regina
dei Martiri, prima che venisse incoronata nel Cielo Regina della gloria e di
tutti i Santi.
Il dolore prende
mille forme e fisonomie diverse secondo l’infinita diversità e varietà degli
individui, del grado, delle dignità, della condizione, delle fortune che essi
vantano. Vi sono croci, patimenti, amarezze provenienti da povertà e da
ricchezze, da ignominie e da onori, da ignoranza e dalla scienza, dal celibato
e dal matrimonio, dalla servitù e dal dominio, dall’ignobiltà e dalla nobiltà,
dalla sudditanza e dalla sovranità. Vi sono dolori nominati che si chiamano
ingiustizie, calunnie, persecuzioni, invidie, gelosie, abbandoni, disprezzi,
avvilimenti, perdite di roba, di fama, di santità, di congiunti; tristezze
dello spirito ed infermità della carne, agonie e morte, dolori nominati,
innominati ed innominabili.
Ma qualunque sia la
pena, il tormento, l’oltraggio, il disonore, incontrato e patito, purché
tollerato per motivi di fede, di speranza, di carità, con pazienza, con
rassegnazione, un simile dolore, specie se continuato, potrà formare il
martirio particolare di un uomo, santificarlo e meritargli la vita eterna.
Or come il raggio
di luce, attraversando un prisma cristallino, riflette tutti i bei colori
dell’iride, di simil modo il paziente, il giusto attraverso la tribolazione, è
capace di far rilucere in sé le più belle virtù cristiane.
Ogni virtù importa
sacrifici, e per questo è figlia del dolore, onde il dolore può dirsi sinonimo
di virtù.
La fede, in grazie
d’esempio, è un sacrificio perché obbliga l’intelligenza umana a curvarsi di
fronte all’intelligenza divina.
L’umiltà dice la
mortificazione dell’amor proprio, annientamento dell’orgoglio, della superbia,
la rinunzia, almeno con lo spirito, agli onori e alla dignità, alla gloria
mondana.
L’obbedienza
domanda l’abnegazione della propria volontà, perché prevalga la volontà dei
superiori, ch’è quella stessa di Dio.
La povertà modera e
mortifica la fame disordinata dell’oro, o, ciò ch’è più perfetto fa che l’uomo
si spogli spontaneamente dei proprio beni per distribuirli ai poveri e seguir
Gesù Cristo.
La castità è un
giglio che fiorisce e si conserva tra le spine, e le spine sono la
mortificazione di tutti i nostri sensi.
La penitenza, come
suona lo stesso nome, si pasce di pene, di lacrime, di digiuni; si veste di
sacco, si cosparge di cenere, si cinge di cilici.
E’ troppo chiaro ed
evidente che non vi ha virtù senza sacrifici, e la parola virtù viene da vis,
forza, perché la fortezza è la base di ogni virtù. Una esistenza virtuosa non
può essere altro che una serie di sacrifici ininterrotta.
Fonti:
- Wikipedia, l'Enciclopedia libera;
- Web;
- Can. Francesco Pilleri, Le Armonie del Dolore - Discorsi in onore della SS.ma Addolorata.
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