lunedì 28 ottobre 2013

Lo Stabat Mater


Stabat Mater
Lo Stabat Mater (dal latino per Stava la madre) è una preghiera - più precisamente una sequenza - cattolica del XIII secolo attribuito a Jacopone da Todi (sec. XIII).

Descrizione
La prima parte della preghiera, che inizia con le parole Stabat Mater dolorosa ("La Madre addolorata stava") è una meditazione sulle sofferenze di Maria, madre di Gesù, durante la crocifissione e la Passione di Cristo. La seconda parte della preghiera, che inizia con le parole Eia, mater, fons amóris ("Oh, Madre, fonte d'amore") è una invocazione in cui l'orante chiede a Maria di farlo partecipe del dolore provato da Maria stessa e da Gesù durante la crocifissione e la Passione.
È importante notare che, anche se il testo è in latino, la struttura ritmica è quella del latino medievale e che poi sarà anche dell'italiano: non si hanno sillabe lunghe e brevi, ma toniche e atone, in una serie di ottonari e senari sdruccioli, che rimano secondo lo schema AAbCCb (oltre ad alcune rime interne).
Utilizzo liturgico
È recitata in maniera facoltativa durante la messa dell'Addolorata (15 settembre) e le sue parti formano gli inni latini della stessa festa. Prima della Riforma liturgica era utilizzata nell'ufficio del venerdì della settimana di passione (Madonna dei sette dolori - venerdì precedente la Domenica delle Palme). Ma popolarissima era soprattutto perché accompagnava il rito della Via Crucis e la processione del Venerdì Santo. Un canto amatissimo dai fedeli, non meno che da intere generazioni di musicisti colti (si pensi solo a Scarlatti, Vivaldi, Pergolesi, Rossini, Liszt).

Compositori di "Stabat Mater"
Nella storia della musica classica si ricordano i seguenti compositori:
  • Medioevo e Rinascimento : Josquin des Prés, Giovanni Pierluigi da Palestrina, Roland de Lassus.
  • Periodo barocco (XVII-XVIII secolo) : Alessandro Scarlatti, Antonio Caldara, Antonio Vivaldi, Emanuele d'Astorga, Domenico Scarlatti, Giovanni Battista Pergolesi, Tommaso Traetta.
  • Periodo classico (seconda metà del XVIII secolo) : Joseph Haydn, Luigi Boccherini, Antonio Salieri, Niccolò Antonio Zingarelli.
  • Romanticismo  : Gioachino Rossini, Franz Schubert, Franz Liszt, Josef Rheinberger, Antonín Dvořák, Giuseppe Verdi, Andrea De Giorgi.
  • XX secolo : Lorenzo Perosi, Karol Szymanowski, Francis Poulenc, Krzysztof Penderecki, Arvo Pärt, François Fayt, Salvador Brotons, Toivo Kuula, Zoltán Kodály.
  • XXI secolo : Bruno Coulais, Karl Jenkins, Julien Joubert, Marco Frisina, Marco Rosano, Angelo Comisso, Stefano Lentini che ha composto lo Stabat Mater per il film The Grandmaster del regista cinese Wong Kar-wai.
Il testo
Stabat Mater dolorósa
iuxta crucem lacrimósa,
dum pendébat Fílius.

Cuius ánimam geméntem,
contristátam et doléntem
pertransívit gládius.

O quam tristis et afflícta
fuit illa benedícta
Mater Unigéniti!

Quae moerébat et dolébat,
et tremébat, cum vidébat
nati poenas ínclyti.

Quis est homo, qui non fleret,
Christi Matrem si vidéret
in tanto supplício?

Quis non posset contristári,
piam Matrem contemplári
doléntem cum Filio?

Pro peccátis suae gentis
vidit Jesum in torméntis
et flagéllis subditum.

Vidit suum dulcem natum
moriéntem desolátum,
dum emísit spíritum.

Eia, mater, fons amóris,
me sentíre vim dolóris
fac, ut tecum lúgeam.

Fac, ut árdeat cor meum
in amándo Christum Deum,
ut sibi compláceam.

Sancta Mater, istud agas,
crucifíxi fige plagas
cordi meo válide.

Tui Nati vulneráti,
tam dignáti pro me pati,
poenas mecum dívide.

Fac me vere tecum flere,
Crucifíxo condolére
donec ego víxero.

Iuxta crucem tecum stare,
te libenter sociáre
in planctu desídero.

Virgo vírginum praeclára,
mihi iam non sis amára,
fac me tecum plángere.

Fac, ut portem Christi mortem,
passiónis fac me sortem
et plagas recólere.

Fac me plagis vulnerári,
cruce hac inebriári
et cruóre Fílii.

Flammis urar ne succénsus,
per te, Virgo, sim defénsus
in die iudícii.

Fac me cruce custodíri
morte Christi praemuníri,
confovéri grátia.

Quando corpus moriétur,
fac, ut ánimae donétur
paradísi glória.

Amen.
La Madre addolorata stava
in lacrime presso la Croce
su cui pendeva il Figlio.

E il suo animo gemente,
contristato e dolente
una spada trafiggeva.

Oh, quanto triste e afflitta
fu la benedetta
Madre dell'Unigenito!

Come si rattristava, si doleva
e tremava vedendo
le pene del celebre Figlio!

Chi non piangerebbe
al vedere la Madre di Cristo
in tanto supplizio?

Chi non si rattristerebbe
al contemplare la pia Madre
dolente accanto al Figlio?

A causa dei peccati del suo popolo
Ella vide Gesù nei tormenti,
sottoposto ai flagelli.

Vide il suo dolce Figlio
che moriva, abbandonato da tutti,
mentre esalava lo spirito.

Oh, Madre, fonte d'amore,
fammi provare lo stesso dolore
perché possa piangere con te.

Fa' che il mio cuore arda
nell'amare Cristo Dio
per fare cosa a lui gradita.

Santa Madre, fai questo:
imprimi le piaghe del tuo Figlio crocifisso
fortemente nel mio cuore.

Del tuo figlio ferito
che si è degnato di patire per me,
dividi con me le pene.

Fammi piangere intensamente con te,
condividendo il dolore del Crocifisso,
finché io vivrò.

Accanto alla Croce desidero stare con te,
in tua compagnia,
nel compianto.

O Vergine gloriosa fra le vergini
non essere aspra con me,
fammi piangere con te.

Fa' che io porti la morte di Cristo,
avere parte alla sua passione
e ricordarmi delle sue piaghe.

Fa' che sia ferito delle sue ferite,
che mi inebri con la Croce
e del sangue del tuo Figlio.

Che io non sia bruciato dalle fiamme,
che io sia, o Vergine, da te difeso
nel giorno del giudizio.

Fa' che io sia protetto dalla Croce,
che io sia fortificato dalla morte di Cristo,
consolato dalla grazia.

E quando il mio corpo morirà
fa' che all'anima sia data
la gloria del Paradiso.

Amen



Fonte:
- Wikipedia, l'Enciclopedia libera.

La Mater Dolorosa



La Madre dei Dolori
Il titolo di Madonna Addolorata o di Maria Addolorata, meglio Beata Maria Vergine Addolorata, è il titolo che i fedeli attribuiscono a Maria, in riferimento ai suoi dolori (comunemente identificati in sette).

I Sette dolori di Maria traggono spunto da sette episodi evangelici:

1 – La profezia del vecchio Simeone su Gesù Bambino (cfr. Lc 2, 34-35):
Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima.”.

Simeone era un anziano d’Israele e profeta. Attendeva la venuta del Messia. Lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recó al tempio; e mentre San Giuseppe e Maria vi portavano Gesù per adempiere la Legge, circoncidendo il bambino, Simeone lo prese tra le braccia e benedisse Dio pronunciando il Nunc dimittis (recitato durante la Compieta): “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (cfr. Lc 2, 25-32). Subito dopo Simeone si rivolse a Maria e le profetizzò il dolore che avrebbe provato sul Golgota.

2 – La fuga in Egitto della Sacra famiglia (cfr. Mt 2, 13-21):
Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo».
Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio.
Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più.
Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele.

3 – Lo smarrimento del Bambino Gesù a Gerusalemme (cfr. Lc 2, 41-51):
I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza;  ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.  Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti;  non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.  Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava.  E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.  Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».  Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».  Ma essi non compresero le sue parole.
 Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.

4 – Maria incontra Gesù sulla via del Calvario (cfr. Lc 23, 27-31):
Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato.
Allora cominceranno a dire ai monti:
Cadete su di noi!
e ai colli:
Copriteci
!
Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?

Benché non sia espressamente indicata nel Vangelo la presenza di Maria, essa è tradizionalmente accettata dalla Chiesa, tant’è che è diventata anche la IV Stazione della Via Crucis.

5 – Maria assiste alla Crocifissione e Morte di Gesù (cfr. Gv 19, 25-27):
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.

6 – Maria accoglie tra le sue braccia il Corpo di Gesù deposto dalla Croce (cfr. Mt 27, 55-61):
C'erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo. Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria”.

La Deposizione nel sepolcro è menzionata nella XIV Stazione della Via Crucis.

Il Culto
Il Culto verso la Madre dei Dolori vide il suo sviluppo attorno alla fine dell'XI secolo. Furono soprattutto S. Anselmo, S. Bernardo e l’ignoto autore del “Liber de Passione Christi et dolore et planctu matris eius” a contribuire all’affermazione della devozione all’ Addolorata, e nel XIII secolo, con i Servi di Maria, sorsero i primi santuari dedicati all’Addolorata, la cui iconografia apparve alla fine dello stesso secolo. Addolorata ai piedi del crocifisso, con il petto trafitto da una spada. Si moltiplicarono allora le composizioni musicali sul “pianto della Vergine“, tra cui lo “Stabat Mater“, composizione attribuita a Jacopone da Todi. Ad opera dei servi di Maria si cominciarono a determinare “i sette dolori“, per cui le spade infilate nel petto della Vergine divennero sette; si fissò anche la celebrazione liturgica il venerdì della settimana di Passione, ossia sette giorni prima del Venerdì Santo.
L’Ordo Servorum Beatae Virginis nacque il 15 agosto 1233, quando sette nobili fiorentini iscritti all’Arte dei Mercanti e poeti-attori della compagnia dei Laudesi erano soliti esprimere il loro amore a Maria in laudi davanti un'immagine dipinta su parete di una via, come i giullari facevano con la donna amata. Improvvisamente videro l'immagine animarsi, apparire addolorata e vestita a lutto per l'odio fratricida che divideva Firenze. Questi giovani gettarono le armi, indossarono un abito a lutto, istituirono la compagnia di Maria Addolorata, detta dei Serviti e si ritirarono in penitenza e preghiera sul Monte Sanario.
Alle origini essi pregarono la Vergine gloriosa regina del cielo perché Maria era nella gloria e la vedevano vestita della sua storia terrena di sofferenza e di privazione - l'abito di vedovanza, segno della sua passione sul Calvario. Con il passare dei secoli queste motivazioni dettero origine a varie espressioni di devozione: la Madonna ai piedi della Croce; la Compagnia dell'abito; la Confraternita dei Sette Dolori approvata da Roma nel 1645; il Terz'ordine; la Corona dell'Addolorata; le varie Congregazioni femminili all'Addolorata, ecc. Tra il 1668 e il 1690 le iniziative di culto da parte dei Servi di Maria favorirono la diffusione del culto della Madonna dei Dolori. Intanto il 9 giugno 1668 la S. Congregazione dei Riti permise all'Ordine di celebrare la messa votiva dei Sette Dolori della Beata Vergine. Nel relativo decreto si faceva menzione del fatto che i Servi di Maria portavano l'abito nero in memoria della vedovanza di Maria e dei dolori che essa sostenne nella passione del Figlio.
Inizialmente il culto dell'Addolorata era collegato alla Settimana Santa, in seguito Papa Innocenzo XII, il 9 agosto 1692 autorizzò la celebrazione dei Sette Dolori della Beata Vergine la terza Domenica di Settembre. Ma la celebrazione ebbe ancora delle tappe, man mano che il culto si diffondeva; il 18 agosto 1714 la Sacra Congregazione approvò una celebrazione dei Sette Dolori di Maria, il venerdì precedente la Domenica delle Palme e papa Pio VII, il 18 settembre 1814 estese la festa liturgica della terza domenica di settembre a tutta la Chiesa, con inserimento nel calendario romano. Infine papa Pio X (1904-1914), fissò la data definitiva del 15 settembre, subito dopo la celebrazione dell’Esaltazione della Croce (14 settembre), con memoria non più dei “Sette Dolori”, ma più opportunamente come “Beata Vergine Maria Addolorata”. Ancor oggi in alcune località è festeggiata alle antiche date.

Pratiche e devozioni
Il culto dell'Addolorata e poi anche sottolineato dalle diffusione delle preghiere a Maria Addolorata e dalla recita del Rosario dei sette Dolori e della Coroncina delle Lacrime, specialmente nella Settimana Santa.

La Via Matris Dolorosae o semplicemente Via Matris è un pio esercizio nel quale un gruppo di fedeli, o un singolo, compie un tratto di strada meditando sette dolori della Vergine.
Il cammino, percorso in preghiera, comprende sette soste (“stazioni”), che corrispondono ai sette principali dolori che la pietà del popolo cristiano ha individuato nella vita della Vergine accanto al Salvatore: la profezia di Simeone, la fuga in Egitto, lo smarrimento di Gesù, l’incontro con Gesù sulla via del Calvario, la presenza sotto la croce del Figlio, l’accoglienza di Gesù deposto dalla croce, la sepoltura di Gesù.
Si noterà che, come la Via Crucis, la Via Matris è una “preghiera biblica”, in quanto dal Vangelo, inteso in senso letterale o interpretato alla luce della tradizione della Chiesa, trae gli episodi di dolore e di salvezza che vi si contempla.

Per quanto, invece, concerne lo “Stabat Mater” è necessario aggiungere che al testo si sono ispirati musicisti di ogni epoca; tra i più illustri figurano Palestrina, Pergolesi, Rossini, Verdi, Dvorak. La Vergine Addolorata è stata raffigurata lungo i secoli in tante espressioni dell’arte, specie pittura e scultura, frutto dell’opera dei più grandi artisti che secondo il proprio estro, hanno voluto esprimere in primo luogo la grande sofferenza di Maria. In virtù del culto così diffuso all’Addolorata, ogni città e ogni paese ha una chiesa o cappella a lei dedicata; varie Confraternite assistenziali e penitenziali, come pure numerose Congregazioni religiose femminili e alcune maschili, sono poste sotto il nome dell’Addolorata, specie se collegate all’antico Ordine dei Servi di Maria. L’amore e la venerazione per la Consolatrice degli afflitti e per la sua ‘compassione’, ha prodotto, specie nell’Ordine dei Servi splendide figure di santi, ne citiamo alcuni: I Santi Sette Fondatori, S. Giuliana Falconieri, S. Filippo Benizi, S. Pellegrino Laziosi, S. Antonio Maria Pucci, S. Gabriele dell’Addolorata (passionista), senza dimenticare, primo fra tutti, S. Giovanni Apostolo ed Evangelista, sempre accanto a lei per confortarla e condividerne l’indicibile dolore, accompagnandola fino al termine della sua vita. Il nome Addolorata ebbe larga diffusione nell’Italia Meridionale, ma per l’evidente significato, ora c’è la tendenza a sostituirlo con il suo derivato spagnolo Dolores.

L'8 Novembre 1929, suor Amalia di Gesù Flagellato, missionaria brasiliana del Divin Crocifisso, stava pregando offrendo sé stessa per salvare la vita di una sua parente gravemente ammalata.
Improvvisamente udì una voce:
"Se vuoi ottenere questa grazia, domandala per le Lacrime di mia Madre. Tutto ciò che gli uomini mi domandano per quelle Lacrime sono obbligato a concederlo".
Avendo la suora domandato con quale formula dovesse pregare, le fu indicata l'invocazione:
O Gesù, esaudisci le nostre suppliche e le nostre domande,
per amore delle Lacrime della tua Santa Madre.
L'8 Marzo 1930, mentre stava inginocchiata davanti all'altare si sentì come sollevata e vide una Signora di meravigliosa bellezza: Le sue vesti erano color viola, un manto celeste le pendeva dalle spalle e un velo bianco le copriva il capo.
La Madonna sorridendo amabilmente, consegnò alla suora una corona i cui grani, bianchi come la neve, brillavano come il sole. La Vergine le disse:
"Ecco la corona delle mie Lacrime. Egli vuole che mi si onori in modo speciale con questa preghiera ed Egli accorderà a tutti quelli che reciteranno questa Corona e lo pregheranno in nome delle mie Lacrime, grandi grazie. Questa corona servirà ad ottenere conversione di molti peccatori e in modo particolare quella dei seguaci dello spiritismo. Il demonio sarà vinto con questa Corona e il suo impero infernale sarà distrutto."
La corona fu approvata dal Vescovo di Campinas.
E' composta da 49 grani, divisi in gruppi di 7 e separata da 7 grani grossi, e termina con 3 grani piccoli.

La stessa corona è, inoltre, utilizzata per il Rosario dell’Addolorata.
A proposito della recita del Rosario dei Sette Dolori Maria dice nell’apparizione in Kibeho alla veggente Marie Claire: "Ciò che vi chiedo è il pentimento. Se reciterete questo rosario, meditandolo, allora avrete la forza di pentirvi. Oggi molti non sanno più chiedere perdono. Essi mettono di nuovo il Figlio di Dio sulla croce. Per questo ho voluto venire a ricordarvelo, soprattutto qui in Rwanda, perché qui ci sono ancora persone umili, che non sono attaccate alla ricchezza e ai soldi".
La Mamma Celeste, consiglia di pregare questo Rosario il martedì e il venerdì, meditando i suoi 7 principali dolori.
Promesse per i devoti dell'Addolorata:
Fu rivelato a S. Elisabetta Regina che S. Giovanni Evangelista desiderava vedere la Madonna dopo la sua assunzione.
Gli apparve la Vergine insieme a Gesù e in tale occasione Maria SS. chiese a Gesù qualche grazia speciale per i devoti dei suoi Dolori.
Gesù promise:
1 - Chi invoca la divina Madre per i suoi dolori, prima della morte farà in tempo a pentirsi dei suoi peccati;
2 - Custodirò questi devoti nelle loro tribolazioni, specialmente al tempo della morte;
3 - Imprimerò loro la memoria della mia Passione, con grande premio in cielo;
4 - Porrò questi devoti nelle mani di Maria, affinché ella ottenga loro tutte le grazie che desiderano.
Oltre al suo Rosario dei dolori sarebbe bene anche recitare ogni giorno 7 Ave Maria all'Addolorata per praticare questa devozione.

Raffigurazioni dell’Addolorata
I simboli che meglio identificano tradizionalmente l’Addolorata sono: una, cinque o sette spade conficcate nel cuore, a volte evidenziato con sopra una fiamma; il fazzoletto in mano; il vestito viola o nero del lutto e tendenzialmente mani giunte con dita intrecciate (antica espressione di dolore). Meno frequentemente ha in mano la corona di spine. Spesso il viso della Madonna è solcato dalle lacrime. Altro soggetto molto rappresentato è la Pietà, penultimo atto della Passione, che sta fra la Deposizione e la Sepoltura di Gesù. Il termine ‘Pietà’ sta ad indicare nell’arte, la raffigurazione dei due personaggi principali Maria e Gesù, la madre e il figlio; Maria lo sorregge adagiato sulle sue ginocchia, oppure sul bordo del sepolcro insieme a S. Giovanni apostolo (Michelangelo e Giovanni Bellini). Capolavoro dell’intensità del dolore dei presenti, è il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto. Nel Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso (Isernia), secondo l’apparizione del 1888, Gesù è adagiato a terra e Maria sta in ginocchio accanto a lui e con le braccia aperte lo piange e lo offre nello stesso tempo. Altrettanto frequente è, infinte, l’immagine della Desolata, con Maria dolente presso la Croce vuota, drappeggiata dalla Sindone, disposta a forma di M sulle braccia orizzontali del patibolo.

Le congregazioni dell'Addolorata
In relazione alla diffusione della devozione ai dolori della Vergine, numerose famiglie religiose hanno inserito nel loro titolo un riferimento a Maria Addolorata: i Doloristi; le Serafiche; le Filippesi Figlie di Maria Addolorata; le Maestre Pie dell'Addolorata; gli Amigoniani; le Sorelle Minime della Carità di Maria Addolorata; le Suore dell'Addolorata e della Santa Croce; le Suore Infermiere dell'Addolorata; le Clementine; le Suore Missionarie del Sacro Costato e di Maria Santissima Addolorata; le Suore della Santa Croce e dei Sette Dolori; le Suore della Santissima Madre Addolorata; le Suore Minime dell'Addolorata; le Suore Serve di Maria Santissima Addolorata; le Figlie della Passione di Gesù Cristo e di Maria Addolorata.

Espansione del culto
Il culto dell'Addolorata è stato diffuso in tutta Europa e successivamente in tutto il mondo, dai Serviti e poi anche dai francescani ed è divenuto uno dei culti più diffusi. Ebbe sviluppi diversi comunque legati alla Passione di Gesù. In Spagna e nei suoi domini ha prevalso l’aspetto pubblico e spettacolare la processione dell'Entierro (sepoltura) con la statua dell'Addolorata e, spesso, anche con altre figure, mentre in Germania e nelle aree limitrofe, ha prevalso un culto più severo espresso dalle Vesperbild, origine delle Pietà.
Numerose sono le statue, a volte con gli arti mobili, della Vergine Addolorata con i simboli tradizionali, utilizzate nelle processioni della Settimana Santa e della sua festa. Ma sono anche molto diffusi i dipinti e gli arazzi.
Inoltre nel corso del Trecento si diffuse nell'Europa centrale di lingua tedesca un nuovo soggetto iconografico, noto con il nome di Vesperbild. La parola significa letteralmente immagine del tramonto, o del vespro, e sta ad indicare una serie di piccole sculture in legno dipinto, in gesso o in terracotta, che rappresentano la Madonna seduta che sostiene, sulle proprie gambe, il corpo esanime e irrigidito di Gesù, morto la sera del venerdì santo. Questa rappresentazione non è riconducibile ad alcun racconto presente sui Vangeli, né, eventualmente, sui testi apocrifi che narrano le vicende della vita di Cristo. Una invenzione, dunque, o più semplicemente una interpretazione popolare di ciò che verosimilmente potrebbe essere accaduto subito dopo la deposizione di Gesù dalla croce: i testi sacri narrano che al momento della crocifissione e della sepoltura la Madonna era presente accanto al proprio Figlio.
Dai Vesperbild nacque infatti il tema iconografico, noto col nome di Pietà, che numerosi maestri del XVI secolo dipinsero. La più famosa è senz'altro la Pietà di Michelangelo Buonarroti, che scolpì in un bianco blocco di marmo di Carrara, custodita in una cappella della basilica di San Pietro a Roma.

Il culto in Italia
Nel sud, si sono sviluppati e durano sino ai nostri giorni i culti legati alla Settimana Santa. Anche nel nord, dove la Spagna fu presente in alcune aree sino al 1714, si erano sviluppati gli stessi culti anche per l'opera di san Carlo Borromeo soprattutto nell'arcidiocesi di Milano (1560-1584), che allora si estendeva sino al Canton Ticino e alla provincia di Novara. Poi nel 1846 l'Austria proibì definitivamente, per motivi politici, tutte le processioni, salvando solo quella del Corpus Domini. Oggi, salvo rare eccezioni, si effettuano processioni solo a settembre e dove l'Addolorata è patrona. Nella Settimana Santa è spesso presente nelle Vie Crucis.
I santuari dell'Addolorata in Italia
I santuari sono centri importanti per il culto dell'Addolorata. Se ne trovano 40 al Nord di cui 15 nell'antico territorio dell'arcidiocesi di Milano, 8 nel centro, 18 nel sud e 12 in Sicilia.
Tra i più famosi non solo per l'Italia ci sono quelli di: Tolfa presso la chiesa del Monte della Rocca, Rho, Bergamo, Rifiano, Castelpetroso, Bisceglie, Lecce, Taranto, Palermo, Siracusa, Scicli, Spiazzi.
Il culto dell'Addolorata nel nord d'Italia
Il culto alla Vergine Addolorata inizialmente diffuso dai Servi di Maria, e oggi presente in alcune aree ma in buona parte è stato sostituito da altri culti a Maria resistendo, soprattutto dove è patrona o esistono confraternite, con la festa di settembre.
In ogni regione ci sono località particolarmente dedicate a questo culto ma è soprattutto diffuso nel Varesotto, Bergamasco, Novarese, Lecchese, Liguria Emilia e Romagna. Ad Appiano Gentile vi è una chiesa dedicata all'Addolorata dove ogni 17 di agosto si ricorda la grazia ottenuta nel 1793, detto anche miracolo della pioggia.
Anche nella diocesi di Trento vi sono vari paesi che hanno l'Addolorata come patrona o compatrona; tra questi si ricorda Darzo.
Il culto dell'Addolorata nel centro Italia
Inizialmente il culto dell'Addolorata si è diffuso per opera dei Servi di Maria soprattutto nella parte più settentrionale, mentre nella parte più meridionale, allora dominio spagnolo, e stato diffuso dalla soprattutto con il rito dellEntierro o Cristo Morto. Poi il legame particolare con Roma e alcuni avvenimenti hanno fatto percorrere anche strade autonome. Tra questi vanno certamente annoverati quelli del santuario della Madonna Addolorata di Castelpetroso, molto probabilmente il più noto nel mondo per l'opera dei frati francescani e la tradizione della Madonna del Pianto con il suo centro a Fermo. Spesso il culto dell'Addolorata si sovrappone a quello con le lacrimazioni di Maria. In Toscana, a partire dal 1484, e soprattutto del Cinquecento, le cronache parlano di immagini della Vergine che hanno pianto o lacrimato sangue.
Il culto dell'Addolorata nel Sud e nelle Isole d'Italia
La devozione per l'Addolorata, tra le popolazioni mediterranee, è tra quelle più sentite tra i culti mariani, forse perché la mostra nella sua condizione più umana. La Sicilia è sicuramente la regione in Italia più importante per il culto dell'Addolorata. Anche in Puglia ci sono importanti presenze. In queste regioni molto importante è il ruolo delle confraternite. La ricchezza e la varietà dei riti e delle feste dell'Addolorata trovano la loro massima estensione nella Settimana Santa.
La vicenda del dolore di Maria si intreccia con le vicende della Passione. Alcuni dei riti sono diversi da paese a paese, ma quasi tutti ripropongono lo schema dell'Entierro al venerdì Santo preceduto al giovedì dalla processione dedicata all'Addolorata. Nelle processioni, oltre al Cristo Morto e all’Addolorata, compaiono spesso le Varette e le Vare ossia piattaforme, di norma trasportate a spalla, dove sono rappresentate scene della Passione. A settembre i suoi festeggiamenti sono diffusi ma le processioni sono rare.
Anche a Secondigliano, quartiere alla periferia nord di Napoli, è presente un santuario dedicato all'Addolorata, per volere di san Gaetano Errico.
Ebbe inoltre un forte impulso da fatti straordinari come: la Madonna del Pianto a Roma nel 1546, il miracolo delle tre stelle nel 1678 a Varese; le apparizioni mariane di: Steinbach in Algovia (1730), Lipsia (1813), Castelpetroso (1888), Quito (1906), Fatima (1917), Kibeho (1981), Akita (1971) e Cuapa (1980) che fanno espliciti riferimenti alla Vergine Addolorata.

La Spagna e il culto dell'Addolorata
Il grande sviluppo che ha avuto il culto della Vergine Addolorata in Spagna, dove era stato portato dai Serviti, si ha in particolare dal 1506, con la processione dell'Entierro. Poi è diventata il suo più importante centro di diffusione nel mondo. Oggi un importante patrimonio di statue, un gran numero di confraternite e una grande passione permettono la celebrazione di numerose e fastose processioni durante tutto l'anno e in numerose località. Le statue spagnole si caratterizzano quasi sempre per il vestito molto sfarzoso, spesso con i colori del lutto nella Settimana Santa, col cuore in evidenza trafitto da spade e con sopra un fuoco, la testa ritta e piangente, un aspetto piacente, popolare, più simbolico che realistico. Le più famose processioni sono quelle della regione dell'Andalusia a Siviglia e Loja (Granada); della Castiglia-La Mancia a Ciudad Real, Hellin (Albacete), della Castiglia e León a León; della Murcia a Cartagena e Lorca.

Diffusione del culto nel mondo
Dovunque nel mondo dove c'è una chiesa cattolica c'è spesso un'immagine che può essere associata alla Vergine Addolorata. Infatti la si può trovare in forma di dipinto, affresco, statua, o bassorilievo nella via Crucis, nella Via Matris, in una Cappella, in un altare, sulle pareti della chiesa o in un oratorio. Tra le immagini più frequenti si trovano quella tipica dell'Addolorata ma anche quella della Pietà, della Crocifissione o della Deposizione dove Maria è spesso con san Giovanni evangelista.
Il suo culto è presente in tutti i paesi europei. L'Addolorata è patrona della Slovacchia e il 15 settembre Festa nazionale. Inoltre il culto è diffuso nelle terre di immigrazione come ad esempio in Australia, Stati Uniti e nel Canada di lingua francese.
Le processioni collegate alla Settimana Santa sono caratteristica soprattutto di Spagna, Portogallo e Italia del sud, e dei luoghi di loro emigrazione. Infatti si trovano soprattutto in: Brasile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Perù, Filippine, Venezuela e Malta, ma anche negli Stati Uniti e in Canada.
Molto importante è il ruolo delle confraternite, soprattutto nelle aree di influenza spagnola, nello sviluppo e nella conservazione del culto dell'Addolorata soprattutto durante la Settimana Santa.

Il culto dell'Addolorata in Europa
Il culto dell'Addolorata dall'Italia si e diffuso inizialmente soprattutto per opera dei Serviti, ma anche di altri ordini religiosi ed in particolare dei francescani, in tutti i paesi europei a cominciare dalla Germania e poi ha avuto uno straordinario sviluppo in Spagna. I serviti sono presenti e hanno portato il culto dell'Addolorata in: Albania, Austria, Belgio, Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Italia, Repubblica Ceca, Spagna e Ungheria.

Il culto dell'Addolorata in America
L'America e terra d'immigrazione dove molto diffuso e il culto a Maria in particolare quello della Madonna di Guadalupe e quella di Quito. In numerose località la Vergine Addolorata e venerata secondo immagini, processioni e riti ripresi dai paesi di origine degli abitanti, ma anche per opera di numerosi ordini religiosi tra cui i Serviti presenti in: Argentina, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Messico, Stati Uniti e Uruguay.

Il culto dell'Addolorata in Africa
I missionari hanno portato la venerazione della Madonna Addolorata in Africa ma l'impulso più consistente viene dalla sua apparizione nel Ruanda. I Serviti sono presenti e hanno portato il culto dell'Addolorata in: Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Sudafrica, Swaziland e Uganda.
Il culto dell'Addolorata in Asia ed Oceania
In Asia ed Oceania importante è il ruolo degli ordini religiosi ed in particolare dei Serviti presenti in: Australia, Birmania, Filippine e India e dei francescani.

Implicazioni della devozione verso l’Addolorata
Fra i tanti titoli e celebrazioni, il più sentito perché più vicino alla realtà umana, è quello di Beata Vergine Maria Addolorata; il dolore è presente nella nostra vita sin dalla nascita, con il primo angosciato grido del neonato, che lascia il sicuro del grembo materno per proiettarsi in un mondo sconosciuto, non più legato alla madre e in preda alla paura e spavento; poi il dolore ci segue più o meno intenso, più o meno costante, nei suoi vari aspetti, fisici, morali, spirituali, lungo il corso della vita, per ritrovarlo comunque al termine del nostro cammino, per l’ultimo e definitivo distacco da questo mondo.
E il dolore di Maria, creatura privilegiata sì, ma sempre creatura come noi, è più facile comprenderlo, perché lo subiamo anche noi, seppure in condizioni e gradi diversi, al contrario delle altre prerogative che sono solo sue, Annunciazione, Maternità divina, Immacolata Concezione, Assunzione al Cielo, Apparizioni, ecc. le quali da parte nostra richiedono un atto di fede per considerarle.
Veder morire un figlio è per una madre il dolore più grande che ci sia, non vi sono parole che possano consolare, chi naturalmente aspettando di poter morire dopo aver generato, allevato ed educato, l’erede e il continuatore della sua umanità, vede invece morire il figlio mentre lei resta ancora in vita, quel figlio al quale avrebbe voluto ridare altre cento volte la vita e magari sostituirsi ad esso nel morire.
I milioni di madri che nel tempo hanno subito questo immenso dolore, a lei si sono rivolte per trovare sostegno e consolazione, perché Maria ha visto morire il Figlio in modo atroce, consapevole della sua innocenza, soffrendo per la cattiveria, incomprensione, malvagità, scatenate contro di lui, personificazione della Bontà infinita.
Ma non fu solo per la repentina condanna a morte, il dolore provato da Maria fu l’epilogo di un lungo soffrire, in silenzio e senza sfogo, conservato nel suo cuore, iniziato da quella profezia del vecchio Simeone pronunziata durante la Presentazione di Gesù al Tempio: “E anche a te una spada trapasserà l’anima”.
Quindi anche tutti coloro che soffrono nella propria carne e nel proprio animo, le pene derivanti da malattie, disabilità, ingiustizia, povertà, persecuzione, violenza fisica e mentale, perdita di persone care, tradimenti, mancanza di sicurezza, solitudine, ecc. guardano a Maria, consolatrice di tutti i dolori; perché avendo sofferto tanto già prima della Passione di Cristo, può essere il faro a cui guardare nel sopportare le nostre sofferenze ed essere comprensivi di quelle dei nostri fratelli, compagni di viaggio in questo nostro pellegrinare terreno.
Ma la Madonna è anche corredentrice per Grazia del genere umano, perché partecipe dell’umanità sofferente ed offerta del Cristo, per questo lei non si è ribellata come madre alla sorte tragica del Figlio, l’ha sofferta indicibilmente ma l’ha anche offerta a Dio per la Redenzione dell’umanità.
E come dalla Passione, Morte e Sepoltura di Gesù, si è passato alla trionfale e salvifica Resurrezione, anche Maria, cooperatrice nella Redenzione, ha gioito di questa immensa consolazione e quindi maggiormente è la più adatta ad indicarci la via della salvezza e della gioia, attraversando il crogiolo della sofferenza in tutte le sue espressioni, della quale comunque non potremo liberarci perché retaggio del peccato originale.

Per poter parlare delle virtù di Maria SS. Addolorata dobbiamo necessariamente partire dall’inizio, dalla Genesi per l’appunto.
Satana, col persuadere Eva a non curarsi del divieto divino fece lega ed amicizia con lei, contro il Signore. Dio, per opposto disse al serpente: “Porrò inimicizia tra te e la donna”. Ossia alla tua comunanza orgogliosa e ribelle con Eva, ti leverò contro la donna umile, obbediente per eccellenza, senza macchia di peccato e piena di grazia. Ed in questa magnifica opposizione ognuno vede luminosamente la sublime rivincita dell’Altissimo contro l’opera del serpente. Le parole che seguono: “tra il seme tuo ed il seme di lei” annunziano evidentemente il Salvatore, che verrebbe dato, è ovvio, per mezzo di Maria, figlio di Lei.
Ed in grazia di questo Figlio divino, la Vergine diverrebbe così grande e potente, da schiacciare la testa del terribile serpente: “ipsa conteret caput tuum”.
In ciò veniva vaticinato il pieno ed assoluto trionfo di Maria, la sua vittoria finale, restauratrice di tutte le cose.
Non è dubbio che la donna promessa da Dio nell’Eden dopo la rovinosa caduta dei nostri progenitori, fosse Maria. Ed è bello, è dolce, è confortante al massimo, poter contemplare con gli occhi della mente, al lume della fede, come la redenzione del genere umano comincia da Maria, e con  Maria, e si snoda, si svolge meravigliosamente tutta intorno a lei, come un’artistica tela, o un ricamo divino che riproduce ad ogni tratto un fiore di paradiso, e questo fiore è la Vergine.
Se il demonio aveva vinto per la disobbedienza ed il misero gusto di una donna, fu sapienza divina che venisse debellato, sconfitto per l’umile ubbidienza ed il sacrificio di un’altra donna: “Ut qui vicerat per formina, vincentur per ispam” scrisse S. Bernardo. Bisognava ritorcere contro il nemico le stesse sue armi, bisognava che il genere umano ferito a morte da una donna, fosse richiamato in vita da un’altra donna, bisognava che Eva fosse riabilitata da Maria, come Adamo da Cristo.
S. Agostino compendiò in due concise espressioni: “Per formina mors, per formina vita; per Hevam intentus, per Mariam salus”. S. Bernardo invece, in un piccolo brano scrisse: “Eva fu una spina, e Maria fiorì come una Rosa (sbocciata da quella medesima spina). Eva una spina che inferse delle gravi ferite, Maria una rosa balsamica che lenì le affezioni morbose di tutti i poveri feriti. Eva una spina che inflisse a tutti la morte, Maria una rosa che portò a tutti la bella sorte della salute eterna.
In verità l’Incarnazione del Verbo che fu il primo gran mistero o l’alba radiosa dell’umano riscatto, ebbe luogo nelle viscere purissime di Maria, col consenso e col concorso di lei.
Ora, la figura dell’Addolorata, cominciò a profilarsi distintamente sul cielo dell’era novella, sin dal giorno in cui il Verbo si incarnò nel seno della Vergine, perché Maria, come insegnano Padri, Dottori e Teologi, accettò di divenire la Madre del Verbo con piena cognizione di causa, ossia conobbe per divina rivelazione che il Figlio suo era destinato ad essere la vittima espiatrice dei nostri peccati, e vi assentì pienamente.
Pertanto l’Addolorata entrava nel disegno magnifico della redenzione sin da principio, ed era come l’aurora della nostra salute.
Ma la sua espressione di Donna dei dolori, prese maggiore corpo e consistenza più compatta nel sacro tempio, all’annunzio del vecchio Simeone, e d’allora si ebbe un crescendo continuo di pene, di umiliazioni, di angustie, di sacrifici, nello svolgimento progressivo dei divini misteri, sia di quelli misti di gaudio e di amarezza, sia di quelli puramente dolorosi.
Maria concorse, cooperò prossimamente alla redenzione del genere umano, grazie al suo consenso pieno ed esplicito che dette alla morte del Figlio, anche senza il previo assenso della Madre, che vantava un certo diritto sulla vita del Figlio. Ma ella conferì ancora più efficacemente e più eroicamente alla nostra salute perché volle trovarsi presente sul Calvario alla Crocifissione di Gesù, per dividere con lui tutte le angosce, gli spasimi, gli obbrobri, le pene dell’agonia e della morte.
Ella dunque meritò il titolo sovrano di Corredentrice del mondo a costo di infiniti dolori, ed entrava così stupendamente nel disegno dell’Altissimo, quale ministra e cooperatrice di Cristo, nella sublime opera della redenzione ed elevazione del genere umano.
Pertanto come un uomo ed una donna avevano perpetrato la rovina e perdizione di tutti gli uomini, similmente volle il Signore che Cristo e Maria, il nuovo Adamo e l’Eva novella, quasi immedesimandosi nel sacrificio della Croce, operassero la rinascita spirituale e la salvezza di tutta l’umanità.
Uno dei primi e più importanti insegnamenti intorno al dolore è che esso, nato dal peccato, fu da Dio trasformato e volto in antidoto e rimedio del male, in distruzione dello stesso peccato. Iddio non creò il peccato, ma non volle distruggere le conseguenze del peccato, disse in modo ammirabile S. Agostino.
Per questo motivo le ragioni inflessibili della divina giustizia richiedevano necessariamente una riparazione del male, ed ogni colpa porta con sé l’obbligo di riparare per l’ingiuria arrecata a Dio. Chi ha gustato il dolce della colpa, è giusto che saggi l’amaro della pena.
Dio però non si prefigge la punizione degli uomini come scopo unico; invece la sua mano percuote e sana, affanna e consola, atterra e suscita, ci abbassa anche nel fondo dei mali, per sollevarci più in alto, al sommo della gloria. Il dolore, nelle mani di Dio, diventa fattore di ordine e di nuove e più belle armonie.
L’espiazione del peccato, importa anzitutto l’umile accettazione dei mali, un atto di profonda umiltà, perché il primo peccato fu una dimostrazione di superbia, e la superbia si nasconde in ogni peccato, mentre non c’è cosa che faccia meglio intendere all’uomo la sua miseria, il suo nulla, che riesca ad umiliarlo maggiormente quanto il dolore.
Scrisse egregiamente un sincero convertito: “Per quella legge dei contrari che regna nel piano divino, non acquista il tutto chi non si annulla, non si può ottenere il sommo Bene, che partendo dalla lieta accettazione del male non si può regnare che dopo avere ubbidito”.
Tuttavia i mali vengono affinché il peccatore rientri in sé stesso, conosca la sua miseria, la sua debolezza, il suo torto con Dio, e gli domandi umilmente il perdono.
I figli di Giacobbe non sentirono mai dolore né rimorso del loro attentato contro del proprio fratello. Non le lacrime del vecchio genitore, né le querele dei parenti, né il lutto degli amici poterono cavare dagli occhi loro una lacrima, o dal loro cuore un sospiro, un “Dio mi pento”, nulla. Ma quando in Egitto vennero apparentemente trattati da esploratori e da ladri, e chiusi in prigione, provarono subito un vivo senso di resipiscenza, aprirono gli occhi della mente e della coscienza per ammettere e detestare il delitto perpetrato contro l’innocente Giuseppe, loro fratello; e per questo misfatto, si confessarono meritevoli della pena ricevuta, non per la colpa ad essi addebitata, che in realtà non avevano commessa.
Fu necessario che il Figliol Prodigo venisse ridotto alla miseria estrema, per comprendere il suo stato miserando, conseguenza dei suoi disordini, ed emettere dal fondo del cuore quel grido di ravvedimento: “Tornerò dal padre mio, come fece difatti, e si riconciliò con lui”.
Ancora, sul Golgota, il cattivo ladro: egli si chiude cinicamente nelle sue pene ed angosce di morte, rifiuta di riconoscere Gesù innocente e Signore del tutto, lo bestemmia anzi, lo maledice in cambio di supplicarlo, e muore impenitente, perduto in eterno, vicino all’autore della resurrezione e della vita. Per opposto, il buon Ladro confessa umilmente la sua reità, proclamando Cristo innocente e Signore, pregandolo di ricordarsi di lui quando sarà entrato nel suo Regno. E bastò quell’umile confessione intrecciata alla confidente preghiera, perché di un pubblico malfattore Cristo facesse un Santo ed un beato cittadino del cielo.
Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Il padre più buono ed amoroso, la più tenera delle madri non saprebbero verso dei loro colpevoli figli usare maggiori finezze di amore, trovare espressioni più adatte, più varie, più belle per assicurarli del loro generoso perdono, come le usa Dio nell’invitare i peccatori a penitenza.
Ed affermò pure Sant’Agostino che “niuno può peccare tanto quanto può Dio perdonare”.
Tutta la storia del Paradiso terrestre era ordinata a Cristo, a Maria ed alla Chiesa. Dio, plasmando Adamo, mirava al Verbo da incarnarsi, e formando Eva, guardava Maria, la Madre avventurosa del futuro Messia. Così nel trasmettere per il tramite di Adamo e di Eva la vita fisica, la salute naturale ed una figliolanza interminabile, il Creatore aveva dinanzi alla mente, come una visione magnifica di luce, la vita infinitamente più bella della nuova grazia e della salute eterna, che un giorno avrebbe ridonato all’umanità caduta, per mezzo di Cristo Redentore, il secondo Adamo, cui sarebbe stata associata per grazia l’Eva novella, la Vergine Maria.
E allora, la dolcissima parola di Cristo, rivolta a Giovanni dall’alto della croce: “Ecco la Madre tua”, sarebbe come un’eco melodiosa, una versione libera, una interpretazione autentica, fatta dallo stesso autore, ma molto più splendida del testo originale, che diceva: “Non è bene che l’uomo sia solo, facciamogli un aiuto a lui somigliante”.
Questo aiuto simile all’uomo, con felice trapasso dal naturale al sovrannaturale, voleva significare Maria, l’Eva novella e la vera madre dei viventi.
Se per Egli non fosse giusto che l’uomo fosse solo nell’ordine della creazione, ciò valeva maggiormente per i figli della redenzione, i quali certo sentivano un bisogno più vivo e pressante di un’ausiliatrice simile a loro, per conforto maggiore nella vita soprasensibile e sovrannaturale della grazia, e questo aiuto prezioso, somigliante, fu Maria.
Ma perché volle Iddio, sia naturalmente che sovrannaturalmente apprestare all’uomo una ausiliatrice simile a lui, Eva e Maria? La motivazione è certamente che Egli voleva fondare l’aiuto sulla base dell’amore vicendevole; e si sa che i simili amano i loro simili “similis similem appetit”.
Anzi l’amore rende simili quegli stessi che tali non erano dal principio: “Amicitia pares aut invenit, aut facit” scrisse S. Girolamo.
Maria dunque, essendo una Madre del genere nostro, figlia di Adamo e di Eva come noi tutti, anche naturalmente ci avrebbe amato con amore grandissimo, sapendo di amar creature, plasmate di sangue e di carne umana come Lei.
Dal canto nostro, per la medesima ragione di somiglianza con la Vergine, noi avremmo riposto in una Madre così umana, la nostra piena confidenza ed il nostro amore di figli ossequenti, devoti ed affezionati.
Ed è importante ricercare in questa somiglianza con la prole, la superiorità e l’eccellenza dell’amore materno su tutti gli altri amori.
La madre vede nei figli il frutto dolcissimo delle sue viscere e del suo amore; osserva, riscontra in essi una copia viva ed animata del suo essere e della sua medesima persona; giacché i figli son sangue del suo sangue, carne della sua carne, latte del suo latte, e non rare volte essi portano impressi visibilmente gli stessi profili e lineamenti della madre, riproducono nelle loro fattezze la fisonomia della propria genitrice. Ma l’identità di natura, la nota più classica e più significativa della perfetta somiglianza di Maria con tutti gli uomini nessuno eccettuato, è da ricercarsi nel dolore.
Non c’è uomo o donna su questa valle di pianto, che non porti nelle sue membra, e molto più nel cuore, qualche stimmate della Madre Addolorata, ed è per questa comunanza di lacrime e di dolori che Maria riesce simile a tutti i suoi figli, non pure ai giusti, ma anche ai peccatori, e li ama tutti di un amore tenero, materno, ineffabile.
La storia dell’umanità è senza dubbio, in grandissima parte, narrazione di patimenti, di fatiche immani, di epidemie, di calamità, di persecuzioni, di guerre, di lotte fratricide, di tragedie pubbliche e domestiche, di mille drammi dolorosi, quotidiani.
La storia stessa dei grandi beni e delle magnifiche e gloriose conquiste della fede e del genio umano, come la propagazione del Vangelo in tutto il mondo, il diffondersi della civiltà cristiana, il progresso delle scienze, delle arti, del commercio, delle grandi invenzioni, è a base d’immensi sacrifici e di infiniti dolori. E fu detto con verità, che i popoli felici non hanno storia.
I figli di Adamo, distinti per razza, clima, lingua, cultura, ceto, costumi, religione, dall’alto e dal basso, da vicino e da lontano, convengono tutti in un centro comune, universale: il dolore; si eguagliano, si pareggiano nel dolore e nella morte.
Ad una tal progenie veniva assegnata per madre Maria, e fu concerto armonico, accordo mirabile della sapienza amorosa di Dio, di dare a figli miseri ed afflitti, una Madre Addolorata per eccellenza.
Una madre degli uomini senza doglie, estranea ai dolori della vita, che non sapesse cosa fosse il soffrire, sarebbe stata una madre di parata, un oggetto di lusso, di abbigliamento, incapace di compatirci, di saperne apprestare un sollievo, un conforto nei casi tristi e dolorosi, nelle ore meste di pianto.
Non senza che Cristo volle aspettare l’ora tragica, angosciosa della sua morte per il compimento della nuova maternità della Vergine. In quell’ora in cui tutti gli strazi, le tristezze, le pene di morte del Crocifisso si riversavano quasi torrente impetuoso, nell’anima di Maria, in quell’ora Gesù la proclamò solennemente Madre degli uomini. “Partorirai nel dolore”, aveva ingiunto Iddio alla prima donna Eva, “in dolor paries”. Quelle parole figuratamente andavano rivolte anche alla Vergine, in ordine ai figli di adozione, perché Ella aveva partorito Gesù, suo figlio naturale, nel gaudio, senza la minima doglia. Ma i dolori che Maria sfuggì nel partorire Gesù, sostenne poi nel mistico parto dell’umanità, rigenerata ai piè della Croce, quando Ella offrì il Figlio divino, e, Madre di Gesù, divenne pure la Madre rigeneratrice dei miseri figli di Eva.
Ancora, la magnifica armonia del dolore si dimostra maggiormente, considerando che Dio voleva far della Vergine la Madre per eccellenza del bello amore e della vera misericordia. “Ego Mater pulchrae dilectionis – Mater misericordiae”.
L’amor di madre è forse la cosa più bella e più ammirabile che Dio abbia fatto su questa terra ingrata e spinosa, anche a guardarlo semplicemente dal lato naturale ed umano. Ma il cristianesimo ha transumanato l’amor materno, sublimandolo ad una bellezza ideale, trascendente, divina sul tipo di Maria, Madre di Dio e degli uomini.
E pare che non si possa concepire nel senso altamente cristiano un amore materno più bello, più meraviglioso di quello che nasce e balza fuori dal dolore, dal sacrificio accettato, sostenuto dalle madri con cuor puro, in spirito di umiltà, di preghiera, di sublime rassegnazione, per promuovere il maggior bene spirituale dei figli.
Dio, come si esprimono alcuni santi Dottori, ha diviso il suo Regno, ritenendo per sé quello della giustizia, ed affidando nelle mani della Vergine il regno della pura misericordia.
Ora, è scritto di Gesù che per divenire misericordioso, dovette in tutto farsi simile ai fratelli – simile nelle debolezze, nelle necessità, nelle sofferenze e nei dolori della natura umana, tranne il peccato. Certo, Gesù in quanto Dio era per natura essenzialmente misericordioso ab aeterno, ma non di una misericordia che lo commoveva, lo agitava, lo rendeva mesto, afflitto, lo faceva piangere sui mali della sua patria e sulla tomba degli amici.
Ma, fatto uomo in tutto simile a noi, ed avendo provato in sé stesso le necessità, le debolezze, i dolori della natura umana, cominciò a sentire una pena intrinseca dei mali altrui, ad averne un vero compatimento, e divenne così misericordioso anche per propria esperienza, dice S. Tommaso.
Se questo Apostolo potette affermare dell’Uomo-Dio, conveniva tanto maggiormente che Maria si rendesse somigliante ai figli adottivi in tutti i dolori della vita, perché divenisse una vera Madre di misericordia per propria esperienza.
Ecco perché Dio non la creò subito Madre degli uomini, ma dopo un lungo tirocinio di prove dure e faticose, di esperimenti ingrati, acerbi, dogliosi, d’ogni fatta. La dispose alla nuova Maternità di adozione nel cammino erto e spinoso di molti anni, sino all’ascesa del Calvario, la prova più tragica ed angosciosa.
La Madre della misericordia non fu opera di fusione, ma di scalpello e di cesello. Come un valente artista, che battendo sul blocco di marmo, foggia poco a poco la statua del dolore, così l’Artefice divino, a forza di colpi dolorosi, dati ripetutamente, sino all’ultimo colpo maestro, finale, apprestato sul Golgota, trasse fuori a perfezione incomparabile la statua animata e vivente del dolore e la Madre della misericordia per eccellenza, Maria.
Che cosa abbiamo mai noi sofferto, che non abbia già sofferto e patito Maria?
“O Maria – esclama S. Bonaventura – il peccatore, quand’anche fosse divenuto il rifiuto del mondo intero, non vi fa affatto orrore; ma voi l’accogliete con tenerezza materna, e non l’abbandonate finché non l’avrete conciliato col suo supremo Giudice”.
Mentre per le sue virtù trascendenti, per i suoi privilegi singolarissimi e per la pienezza della grazia divina, Maria dista mille e mille miglia da tutte le creature, prendendo una fisionomia tutta sua propria, in grazia poi del suo patire, Ella è vicinissima e accostata a tutti gli uomini perché le note dolenti, comuni a Lei e alla misera umanità, le danno una somiglianza perfetta con tutti i mortali, essendo tutti figli del dolore.
Il manto scuro dell’Addolorata è immenso come la volta dei cieli, si stende, si allarga come l’oceano, capace di raccogliere nelle sue pieghe infinite tutte le miserie umane, dove i figli del dolore trovano un rifugio sicuro, un asilo di pace e di protezione, il porto di salute e di vita eterna.
Ma cosa vuol dire non dimenticare o meglio ricordare i dolori di Maria? In linguaggio religioso, ascetico, questa espressione equivale a significare: coltivate una tenera devozione ai dolori della Vergine, amare teneramente la Madre Addolorata. Praticando questo meriteremo le migliori benedizioni e misericordie di Dio.
E’ proprio dell’amore portarsi spesso, se non altro, col pensiero e con l’affetto alle persone e alle cose care e dilette. Ricordar quindi i dolori della Vergine vale lo stesso che pensarli, meditarli frequentemente; e si sa che la meditazione è luce di verità, che illumina e rischiare la mente, ed è fiamma di amore che accende i cuori di carità a Dio, alla Vergine e ai Santi. Chi medita poi la compassione di Maria, naturalmente è portato a considerare di pari passo la Passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo; e un simile ricordo, non speculativo, ma pratico, riesce efficacissimo a commuovere gli animi, a compungere le coscienze e a far sì che per prima cosa piangiamo e detestiamo i nostri peccati, che furono i veri carnefici del Figlio Crocifisso e della Madre Addolorata.
Ecco il primo frutto salutare e necessario della devota rimembranza dei dolori della Vergine, la contrizione del cuore.
Ma ricordando con fede e con amore le pene tristissime di Maria, ci sentiremo dolcemente attratti, sospinti ad imitare le virtù elette, di cui ella dette esempio fulgidissimo nella compassione del Figlio divino.
Ricordare quindi i dolori di lei, è come dire imitare la sua profonda umiltà, la perfetta ubbidienza e la rassegnazione nelle croci che a Dio piacerà mandarci, specie quelle che ci costano molte umiliazioni, e ne rendono vili ed abbietti agli occhi del mondo. Vuol dire altresì imparare da Maria a soffrire con pazienza e dolcezza cristiana, le ingiurie, i disprezzi, gli oltraggi, le ingiustizie, le calunnie, che ci vengono inflitte dai tristi, dai nemici e sovente anche dagli amici.
E’ sotto la sferza e la tempesta dei mali, ad imitazione del Crocifisso e della Madre Addolorata, che perdoneremo di cuore ai nostri offensori, pregando anzi il buon Dio a perdonarli anch’Egli dal cielo, ed a chiamarli a penitenza ed a salute.
Il Calvario è il monte degli amanti, scrisse S. Francesco di Sales, e voleva dire che su quel colle della mirra alla vista e considerazione del Crocifisso e dell’Addolorata s’impara a soffrire per amor di Dio e per il bene delle anime in spirito di pietà, di mitezza, di carità e di sacrificio.
Ora amare Dio nell’amarezza del fiele e dell’assenzio, amarlo cioè nel saper soffrire, questa è la prova del più puro e più santo amore; questa è la tessera degli amanti autentici, genuini di Cristo e di Maria; perché come ben disse lo stesso Sales “amare Dio nello zucchero, ossia nelle prosperità, è troppo semplice, comodo e pratico”.
La ricordanza cristiana, ascetica dei dolori della Vergine importa l’esercizio delle più belle virtù, di quelle specialmente più umili e meno vistose agli occhi del mondo, ma certo più care a Dio.
E non si possono contare quanti frutti di grazie e di benedizioni celesti spuntano e maturano da questa devozione. Secondo ciò che riferisce un’antica tradizione, nostro Signore promise un giorno che accorderebbe quattro grazie speciali a quelli che praticheranno la devozione dei dolori di sua Madre.
La prima di queste grazie sarebbe una contrizione perfetta di tutti i loro peccati, quando fossero vicino a morire.
La seconda grazia sarebbe una protezione speciale nell’ora della morte.
La terza che i devoti dell’Addolorata avrebbero la Passione di Gesù altamente impressa nella mente.
La quarta grazia che sarebbe accordata una efficacia particolare alle preghiere di Maria in loro favore.
E’ cosa così santa e salutare la memoria dei dolori di Maria, che a volte è bastato anche un minimo di tal devozione, per ottenere da Dio le più prodigiose conversioni e salvare dalla morte eterna peccatori più induriti dagli uomini più perduti.
Nelle rivelazioni di S. Brigida si racconta questo insigne miracolo delle pietà di Maria.
Un uomo di assai nobili natali, ma di costumi corrotti, aveva condotto una vita di settant’anni nel servizio di satana, infangato nelle più luride e malsane passioni. Venuto a morte, sarebbe certamente precipitato nel più profondo dell’inferno, se il Signore non gli avesse usato una misericordia grande, straordinaria.
Gesù comparve alla sua serva S. Brigida, ordinandole di mandare a quel gran peccatore il di lei confessore “per convertirlo”. Il Ministro di Dio si presentò senz’altro al misero moribondo per persuaderlo a confessarsi, ma questi lo respinse, dicendo che non aveva bisogno dei Sacramenti. A una tal ripulsa non si dette per vinto il zelante sacerdote, e di lì a non molto andò una seconda volta al letto dell’infermo; ma tutto indarno, senza alcun frutto. Il misericordioso Gesù, che voleva salvo ad ogni costo quel miserabile, riapparve a S. Brigida, assicurandola che se quell’infelice peccatore avesse visto per la terza volta il prete, si sarebbe convertito davvero. E così fu. L’uomo di Dio, presentatosi di nuovo al moribondo, per prima cosa lo fece consapevole della visione avuta dalla Santa.
Eh, padre – esclamò allora piangendo l’infermo – come è possibile che Iddio voglia usare misericordia ad un’anima che sempre lo ha disprezzato, insultato e maledetto? Tu non devi dubitare affatto della misericordia di Dio – rispose subito il confessore – Egli mi ha mandato a te per perdonarti tutto il male che hai fatto nella tua lunga vita. Il misero peccatore prese animo a queste parole e con grande confidenza dell’infinita misericordia del Signore, si confessò in quello stesso giorno per ben quattro volte, ricevette con devozione il SS. Viatico e il dì seguente spirò in santa pace. Gesù apparendo ancora una volta a S. Brigida la informò che il morto era salvo e sarebbe stato per poco in purgatorio e presto volato nel cielo.
Meravigliata la Santa del come si fosse salvata quell’anima gravata di tante colpe, Gesù le disse: “Si è salvata perché quando pensava ai dolori della Madre mia, la compativa.”
Ma accade non rare volte che il Dio, altamente sdegnato, per le grandi ingratitudini ed iniquità degli uomini, si mostra sordo alle loro preghiere, tien chiuse fortemente le mani a non concedere grazie e speciali favori, ritarda il suo intervento ed aiuto divino nelle grandi sciagure.
E allora efficacemente fa prova la mediazione potentissima della Vergine.
Si racconta dell’antico Milone, famoso per la sua forza erculea, che egli avesse muscoli così ferrei e tenaci, che quando chiudeva la sua mano, nessuno era capace di aprirgliela. Ma se per caso gli si fosse fatta accanto a tentar la prova, una mano gentile di persona a lui cara e diletta, riusciva ad aprire quel pugno serrato con molta facilità.
Ebbene sia quanto si voglia adirato il Signore, siano strette e serrate le sue mani fortemente, se a Lui si farà innanzi Maria, muterà ogni cosa come per incanto. Una prece, una lacrima sola della Vergine bella, da Dio amata sopra tutte le creature, basterà ad aprire con facilità l’una e l’altra mano dell’Onnipotente, e subito gli uomini saranno riempiti dei doni, delle grazie e delle benedizioni divine.
A condizione, però, che essi facciano penitenza delle proprie colpe.
Come ammonisce S. Paolo, non possiamo seguire Gesù nella gloria, se prima non lo avremo seguito nella passione.
Qui si vuole seguire Gesù nelle ignominie, negli abbassamenti, nell’umiltà, nella povertà, nei patimenti e nella perfetta ubbidienza da lui mostrata, sino alla morte di croce “usque ad morte, mortem autem crucis”.
Se durante la nostra settimana di Passione, che è la vita presente, sapremo come i Santi crocifiggere la nostra carne, rinnegare noi stessi, portar con onore le stimmate del Crocifisso; se, per espiare i nostri peccati sapremo, come Davide, la Maddalena, vivere una vita di penitenza e di compunzione, spremere lacrime di sangue dal cuore; se, in difetto di meglio e di tutto, ridotti in fin di vita, sapremo magari come il buon ladro, in spirito di fede, di umiltà e di rassegnazione, accettare dalle mani di Dio la morte che a lui piacerà mandarci, consacrare al Signore almeno l’ultima ora del vivere nostro; spunterà per noi pure la Pasqua della resurrezione, della gloria; dalle spine del dolore sbocceranno le rose immarcescibili della felicità, e sulle arpe d’oro canteremo in eterno il canto dell’alleluia.
Dal Calvario al Cielo corre brevissimo tratto; non c’è che un salto, un passo, un momento: “Oggi sarai con me in Paradiso!”.
E’ un bisogno vivo, potente del nostro cuore di possedere le immagini, le fotografie dei parenti, degli amici, dei benefattori, quando essi specialmente siano sul punto di separarsi da noi.
Si vorrebbe allora aver qualche cosa d’intimo, di vivo nelle loro medesime persone, ma, ciò non essendo possibile, ci si contenta delle loro effigie o dei ricordi. Gesù, a cui niente può essere ignoto, dal canto suo si compiacque di soddisfare meravigliosamente a queste giuste esigenze del cuore umano, anche senza essere richiesto.
E poche ore prima di morire, sull’ascesa del Calvario, pensò di imprimere l’immagine del suo Volto sul bianco lino della Veronica, in quello che la pia donna, con gesto delicato, gli asciugava la fronte madida di sudore, intrisa di sangue.
Dopo morto lasciò quasi dipinta l’intera figura del suo corpo sulla candida sindone, nella quale venne avvolto e seppellito.
Ebbene, il ritratto del Volto Santo apparso sul sudario, porta le stimmate della Passione, la corona di spine sul capo, gli occhi velati di mestizia, le guance illividite e solcate da rubini di sangue. Similmente l’effigie della Sacra sindone è quella di un uomo martoriato, di una vittima di strazi e di dolori.
Il ricordo, dunque, più caratteristico e più salutare che Gesù volle lasciarci di sé, in dipartirsi da noi, furono, diremo così, due fotografie, che non rappresentano altro se non l’Uomo dei dolori, raffigurano proprio il Dio Crocifisso.
Ma c’è di meglio e ancora di più prodigioso.
Un semplice uomo, con tutto il suo buon volere e l’affetto più intenso ai suoi, non potrà loro lasciar di sé che una sua bella immagine, una veste, un suo anello, una ciocca dei capelli e basta. Cristo, invece, morendo, lasciò agli uomini tutto sé stesso, vivo e vero, lasciò il suo corpo vivente, il suo sangue, l’anima e la divinità.
E anche questa volta il ricordo o il ritratto singolare, che con prodigio inaudito ci regalò di sé medesimo il Signore, non fu altro che il Crocifisso, non già in semplice dipintura, ma diremo il Crocifisso di carne viva, palpitante di vita, vampante di amore infinito per l’umanità. Tale infatti è la Santissima Eucarestia, considerata come Sacrificio, il Crocifisso vivente ed operante tra noi, dal momento che Essa è una rinnovazione del Sacrificio della Croce.
I predestinati alla gloria devono, in questo o in quel modo, divenir conformi all’immagine del Crocifisso, e quelli da Lui dissimili, busseranno invano alle porte del celeste convito, per esservi ammessi, poichè lo Sposo divino risponderà di dentro, come alle vergini stolte: “Io non vi conosco”.
L’età nostra incredula, avida di voluttà, ebbra di lussuria, ha messo fuori, ha esiliato il Crocifisso da ogni luogo, vedendosi da lui troppo dissimile e dissonante. “L’Uomo dei Dolori – scrisse l’insigne P. Texier – sarebbe un guastafeste tra questi uomini”.
Se per tanti aspetti luminosi, il ritratto tipico, significativo del Cristo deve dirsi il Crocifisso, non si esiti ad affermare che similmente il ritratto per eccellenza di Maria sia l’Addolorata. Di qui le lodi in onore del Crocifisso, come raggi d’oro del sole cadente, si riflettono e raccolgono in un fascio di luce meravigliosa sulla Madre dei Dolori; perché la compassione della Vergine non è se non un riverbero, un’eco fedelissima della Passione e morte del Figlio Divino.
Certo che non tutto quello che si dice del Crocifisso si può ripetere assolutamente e alla lettera di Maria; ma, vista e ammirata la bellezza divina dell’originale, si comprende meglio e si ammira tanto più l’Addolorata, che è il riflesso più bello e più completo, è una copia perfetta del Crocifisso.
Fu scritto che Cristo nelle sembianze naturali, nel color dei capelli, delle pupille, della carnagione era in tutto somigliante a Maria. Questo piace, ed era bello a vedersi, ma torna infinitamente più bello e più proficuo, il conoscere e contemplare al lume della fede, che Maria, nell’ordine sovrannaturale, appariva in tutto conforme e somigliante al Figlio crocifisso, ed in questo è riposta la grandezza massima, la gloria più ammirabile della Vergine.
Non senza ragione la Chiesa la saluta ed invoca coi bei nomi di Madre purissima e castissima, di Vergine delle vergini, e la proclama concepita senza macchia di peccato, ed immune altresì da ogni minima colpa attuale. Maria fu pure la piena di grazia e tutta bella sin dal primo istante di sua esistenza; “tota pulchra”, e tutta santa, panaghia, come la dicono i Greci.
E per queste doti trascendenti di santità e purezza, Ella meritò di venire associata al sacrificio della croce per essere la riparatrice degnissima del mondo, come afferma S. Anselmo.
La somiglianza della Passione di Gesù e di Maria, ecco il concetto informatore ed altamente significativo di quel quadro, rispondente alla profezia del vecchio Simeone, che fuse insieme il martirio del Figlio e della Madre.
Si poteva dire che due auguste persone si consumavano come una sola vittima, su di un medesimo rogo, e da un medesimo fuoco si elevava una nube d’incenso aromatico, al trono dell’Altissimo per placare il suo sdegno.
La S. Messa rinnova ogni giorno sotto i nostri occhi il Sacrificio del Calvario, e ci ridice, come dovrà ridire sempre, a tutti gli uomini, in tutti i secoli, che Gesù patì e morì per noi, e con lui soffrì la sua Madre Santissima, che l’offrì in olocausto al Padre Celeste per la salute del mondo.
Tra i motivi più santi e più eccellenti perché la Vergine Santa volle assistere sul Calvario alla morte del Figlio divino, si deve annoverar quello di voler partecipare con la sua angosciosa presenza ai quattro fini altissimi e santissimi del sacrificio della Croce, di adorazione cioè, di ringraziamento, di propiziazione e di supplica o impetrazione. Or questi che furono i quattro fini specifici del Sacrificio del Golgota, sono altresì propri, identici del Sacrificio Eucaristico, la Messa.
Tutto ciò che si fa nella Messa, tutti gli apparati e tutte le cerimonie non sono altro che un rappresentazione della Passione di Gesù Cristo; perciò nella Messa, sopra ogni altra cosa, è necessaria la memoria della morte di Cristo, avendo detto egli stesso: fate questo in memoria di me.
E si ripete costantemente da secoli, che dove è in fiore la devozione alla Madonna ivi verdeggia e fiorisce altresì il culto Eucaristico.
In ogni festa della Vergine la mensa Eucaristica si vede attorniata da una moltitudine di fedeli, e d’altra parte il numero stragrande delle comunioni, l’assistenza alla Messa e le processioni Eucaristiche sono diventate l’abitudine di tutti i pellegrini che si portano ai santuari di Maria. L’avvenimento sommamente religioso e devoto tocca il punto culminante a Lourdes.
In quella terra benedetta e sorrisa da Maria, Gesù Eucaristico viene adorato, invocato, glorificato ogni giorno da gente multiforme di pellegrini e devoti, che accorrono a Lourdes da tutte le parti dell’Orbe. Quando l’Ostia Santa viene portata in trionfo, e passa benedicendo a tutti, specie ai malati, agli infermi, prostrati ai suoi piedi – con le ginocchia della mente chine – pare d’assistere alle peregrinazioni di Gesù per le contrade della Palestina. Mille voci diverse echeggiano all’unisono, mille invocazioni si rivolgono al SS. Sacramento: “Gesù, Figlio di David, abbi pietà di noi – Signore, fa’ che io veda – che io creda – che io cammini – che riacquisti la salute ecc. – Dì, o Gesù, la parola onnipotente, e sarò guarito”.
A queste frasi s’intrecciano invocazioni di fede, di speranza, di amore a Maria Santissima – Salute degli infermi – Rifugio dei peccatori, prega per noi – Consolatrice degli afflitti – Nostra Signora di Lourdes – Nostra Signora del SS. Sacramento, prega per noi.
E all’accordo magnifico, alla fusione delle voci supplichevoli, nel passaggio del Santissimo, le guarigioni prodigiose degli infermi, le conversioni dei peccatori, la rassegnazione, la calma, il sollievo dei sofferenti avvengono in piena luce meridiana, sotto gli occhi di tutti.
Così lo splendore, il trionfo della devozione a Maria genera l’amore a Gesù e il trionfo dell’Eucaristia. “Ad Jesum per Mariam”.
E notate ancora una volta, che il fiore più bello, il frutto più soave e salutare della devozione alla Madonna, vuol essere un amore più puro, più intenso, più operoso, un’adorazione più fervida e profonda, un’unione più santa e più intima a Gesù Eucaristico; e quando si è più vicini e più uniti col pensiero, coll’affetto, colle pratiche di pietà e di religione, a Gesù Ostia, ci si sente di stare parimenti ancora più accosto a Maria, dico particolarmente più vicino al suo infinto dolore.
La devozione all’Addolorata ci conduce come per mano di madre all’Altare Eucaristico, sia per ascoltare la Messa, sia per fare la Santa Comunione, sia per visitare ed adorare il Divin Prigioniero d’amore. E assistendo devotamente alla Santa Messa, per noi è come assistere al medesimo Sacrificio del Calvario; ed allora accanto alla Croce di Gesù, troveremo immancabilmente Maria. Ed insieme colla Vergine Santa avremo parte ai fini così santi ed efficaci del Sacrificio Eucaristico, di rendere cioè a Dio il più grande onore ed una gloria somma, con un culto perfetto, un’adorazione degna della Divinità; di presentare all’Altissimo un’azione di grazie infinite.
Raccoglietevi con fede, con umiltà, con filiale confidenza ai piedi di Gesù Sacramentato, che troverete in ogni Chiesa, accoglietelo spesso nel vostro petto, nella Santa comunione, ricorrerete colle vostre preghiere alla Madre Santissima, specie sotto il titolo del suo dolore, e vi leverete dagli altari Eucaristici ripieni di pace, di coraggio, di dolcezza ineffabile, e vi sentirete forti per andare incontro anche alla morte col sorriso sulle labbra e la calma nel cuore.
Il serafico S. Bonaventura, illustrando una sentenza di S. Pier Damiano, ebbe ad asserire che la maggiore nostra gloria in cielo ed il gaudio più vivo, dopo la visione di Dio, sarà la contemplazione di Maria.
Non si può concepire il riso, non riesco a meglio gustarlo , se non dopo le lacrime, non si può godere la luce, se non dopo il buio e le tenebre della notte, non si può ammirare l’azzurro, il sereno, se non dopo le nuvole e la tempesta.
Pertanto bisogna aver sofferto per meritare ed assaporare meglio le gioie della felicità; prima i patimenti, le umiliazioni, le ignominie, il martirio, poi l’esaltazione, l’apoteosi, la gloria.
Ben si appose un illustre autore, (Faber) asserendo che il trionfo dell’Assunzione fu dovuto principalmente all’amarezza della Compassione di Maria.
Il dolore, mezzo, contrassegno di somiglianza a Gesù Crocifisso, cagione di più intima unione con Gesù Eucaristico; il dolore, sublime sacrificio di lode a Dio, e simili considerazioni. Ecco le ultime, più belle, ed armoniche note che raccogliamo dal poema musicale del dolore cristiano. E guardando la cosa in Maria, proporremo l’argomento a questo modo: Conveniva che la Vergine fosse qui in terra l’Addolorata o la Regina dei Martiri, prima che venisse incoronata nel Cielo Regina della gloria e di tutti i Santi.
Il dolore prende mille forme e fisonomie diverse secondo l’infinita diversità e varietà degli individui, del grado, delle dignità, della condizione, delle fortune che essi vantano. Vi sono croci, patimenti, amarezze provenienti da povertà e da ricchezze, da ignominie e da onori, da ignoranza e dalla scienza, dal celibato e dal matrimonio, dalla servitù e dal dominio, dall’ignobiltà e dalla nobiltà, dalla sudditanza e dalla sovranità. Vi sono dolori nominati che si chiamano ingiustizie, calunnie, persecuzioni, invidie, gelosie, abbandoni, disprezzi, avvilimenti, perdite di roba, di fama, di santità, di congiunti; tristezze dello spirito ed infermità della carne, agonie e morte, dolori nominati, innominati ed innominabili.
Ma qualunque sia la pena, il tormento, l’oltraggio, il disonore, incontrato e patito, purché tollerato per motivi di fede, di speranza, di carità, con pazienza, con rassegnazione, un simile dolore, specie se continuato, potrà formare il martirio particolare di un uomo, santificarlo e meritargli la vita eterna.
Or come il raggio di luce, attraversando un prisma cristallino, riflette tutti i bei colori dell’iride, di simil modo il paziente, il giusto attraverso la tribolazione, è capace di far rilucere in sé le più belle virtù cristiane.
Ogni virtù importa sacrifici, e per questo è figlia del dolore, onde il dolore può dirsi sinonimo di virtù.
La fede, in grazie d’esempio, è un sacrificio perché obbliga l’intelligenza umana a curvarsi di fronte all’intelligenza divina.
L’umiltà dice la mortificazione dell’amor proprio, annientamento dell’orgoglio, della superbia, la rinunzia, almeno con lo spirito, agli onori e alla dignità, alla gloria mondana.
L’obbedienza domanda l’abnegazione della propria volontà, perché prevalga la volontà dei superiori, ch’è quella stessa di Dio.
La povertà modera e mortifica la fame disordinata dell’oro, o, ciò ch’è più perfetto fa che l’uomo si spogli spontaneamente dei proprio beni per distribuirli ai poveri e seguir Gesù Cristo.
La castità è un giglio che fiorisce e si conserva tra le spine, e le spine sono la mortificazione di tutti i nostri sensi.
La penitenza, come suona lo stesso nome, si pasce di pene, di lacrime, di digiuni; si veste di sacco, si cosparge di cenere, si cinge di cilici.
E’ troppo chiaro ed evidente che non vi ha virtù senza sacrifici, e la parola virtù viene da vis, forza, perché la fortezza è la base di ogni virtù. Una esistenza virtuosa non può essere altro che una serie di sacrifici ininterrotta.


Fonti:
- Wikipedia, l'Enciclopedia libera;
- Web;
- Can. Francesco Pilleri, Le Armonie del Dolore - Discorsi in onore della SS.ma Addolorata.